Il Cavaliere prova ad aggirare Casini
Ufficialmente in questi giorni non si sono mai visti nè sentiti, dunque sarà solo una coincidenza se Rutelli e Casini usano lo stesso linguaggio, se il vice premier considera utile il confronto con l’opposizione sulla Finanziaria «per evitare che i fronti estremi dei due schieramenti impongano la logica del muro contro muro», e se il leader dell’Udc ritiene a sua volta il dialogo «l’unico strumento contro i massimalismi nei due poli».
È difficile oggi immaginare un’intesa bipartisan in Parlamento sulla manovra, ma è certo che nella Margherita c’è l’intenzione di rompere quello che il responsabile per le Riforme Villari definisce «l’accerchiamento dei riformisti»: «Che dovremmo fare, presentarci con le mani in alto e subire? No, apriremo al dialogo, sia sulla Finanziaria sia dopo, sulla riforma previdenziale. Siccome Prodi non cederà ai ricatti dell’area radicale della maggioranza, le modifiche al sistema pensionistico le approveremo insieme all’opposizione ». Il messaggio del dialogo lanciato da Marini non è ancora caduto, e di occasioni per un’intesa sulla manovra ce ne sarebbero, data la mole del provvedimento che conta 217 articoli e che — a detta del rutelliano Lusetti — «si espone ad almeno diecimila emendamenti».
E se alla Camera i numeri rendono forte il governo, a palazzo Madama ci vuol poco perché salti il banco. Ieri sull’ordinamento giudiziario sono bastati tre dipietristi, domani sulla Finanziaria basterebbe il gruppo di De Gregorio. Ma il punto non è solo questo. Nella battaglia sulla manovra è in gioco l’elettorato di centro. Rutelli vuole impedire scorribande nel suo recinto elettorale, e Casini sa che il vice premier «teme di perdere consensi»: «Perciò visto che la Margherita insegue i suoi elettori, noi dobbiamo inseguire loro per far scoppiare le contraddizioni nella maggioranza ».
Per il resto, nessuno ipoteca il futuro, «i ponti — sottolinea l’udc De Laurentiis — si costruiscono su due sponde. Se Rutelli punta al Partito democratico non ci interessa». L’unica finestra perché si arrivi a un compromesso sulla manovra rimane comunque il passaggio alla Camera, «perché al Senato—secondo Fini—il governo si blinderà con la fiducia». Lo spiegava ieri il leader di An ad alcuni suoi deputati, quando ancora al Senato non era esploso lo scontro tra Mastella e Di Pietro: «Prodi non ha scelta, e nemmeno i suoi alleati hanno scelta. Devono subire. Che il premier sia già bollito lo sanno, che possa cadere è un altro discorso. Dai segnali che mi giungono, Prodi durerà finché Ds e Margherita non avranno un progetto alternativo. Però, siccome non possono cambiare presidente del Consiglio e restare con la stessa maggioranza, dovrebbero puntare su un esecutivo tecnico. Sarebbe la loro fine. Possono permetterselo?».
Ecco il quesito su cui Berlusconi si interroga. L’analisi del Cavaliere è simile a quella di Casini, ritiene che «la manovra ha messo in sofferenza un pezzo rilevante dell’elettorato della Margherita e anche una parte degli elettori dei Ds», e che bisogna colpire l’«anello debole della catena ». Quanto agli sviluppi, però, resta dubbioso: «È vero che Prodi è in ginocchio, ma se — passata la Finanziaria — si rafforzasse?». Di qui l’idea di navigare a vista, coprendo tatticamente ogni spazio: perciò prepara le manifestazioni contro la manovra, e al contempo tende la mano per il dialogo a «una parte della maggioranza», convinto che non se ne farà nulla e che Casini dovrà scendere con lui in piazza. A parti rovesciate, accadrebbe quanto è successo sulla missione in Libano, quando Forza Italia fu costretta a seguire la scelta dell’Udc.
Per il resto Berlusconi prende tempo perché non sa quale sarà la sorte di Prodi. Ciò non significa che stia fermo, anzi. Il segretario del Pri Nucara è convinto che il Cavaliere abbia già «un accordo sottobanco con D’Alema». Possibile? Appena il portavoce di Berlusconi sente il nome del ministro degli Esteri, dice d’istinto che «è l’unico politico intelligente dell’Unione. L’unico con cui si può dialogare ». Non sarà una prova, ma è pur sempre un indizio. A cui Nucara ne aggiunge un altro: «Un amico comunista mi ha detto che l’intesa tra i due potrebbe concretizzarsi in vista di un governo guidato dal presidente dei Ds. Se così fosse, Berlusconi offrirebbe l’appoggio esterno, con la garanzia di andare a votare l’anno dopo». Sarà, ma di quale anno si tratterebbe? È questo il dilemma del Cavaliere. (www.corriere.it)
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