Epifani: con Berlusconi buttati cinque anni
Per Gugliemo Epifani, quelli trascorsi con Berlusconi a Palazzo Chigi sono stati «cinque anni persi che hanno aggaravato
Argomenta il leader Cgil dal congresso di Rimini: «Il biliancio di questi cinque anni ci dice onestamente che il disegno di far ripartire il Paese con la riduzione delle tasse e i premi fiscali verso patrimoni e rendite e con la riduzione dei diritti del lavoro, è fallito. Come è fallita la scelta di cancellare il dialogo sociale, il confronto con le controparti». Epifani considera ora l'Italia a «un bivio» e avverte «Se non si opera un profondo cambiamento il paese è destinato a restare indietro e a dividersi». I cinque anni della legislatura che sta per finire, sottolinea «presentano la crescita media più bassa del Pil italiano di tutta la storia della Repubblica». Per questo bisogna «riprogettare il Paese partendo dal lavoro», slogan scelto per il XV Congresso della Cgil. Dati alla mano il segretario generale Cgil riporta: «Aumento della produttività, Italia ultima. Crescita della spesa in ricerca, ultima. Pil, ultima. Competitività globale, ultima. Aiuti alla cooperazione, ultima. Invece - prosegue - siamo primi nell'inquinamento, nel costo dell'energia, nel debito pubblico, e secondi per la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata». Epifani ritiene che il Paese oggi si ritrovi più diviso e «relativamente più povero», ma precisa «iI nostro Presidente del Consiglio, come sappiamo, non condivide questo giudizio e pensa in realtà che il Paese sia più avanti di quello che le cifre rappresentino, e porta sempre ad esempio il numero dei telefonini posseduti dagli italiani. In più ha detto che l'Italia in Europa non siede più in panchina».Poi pone all'attenzione di Abi e Confindustria un tema preciso, sul quale dovrebbero lavorare per «studiare nuove regole per una governance più trasparente». Il leader Cgil punta il dito su quelli che denifisce «intrecci tra banche e imprese» e dice «oggi almeno 7 dei primi 10 gruppi bancari italiani hanno tra i loro azionisti di riferimento uno o più gruppi industriali; e in almeno 5 casi su 7 gli azionisti industriali denunciano posizioni di forte indebitamento rispetto al gruppo bancario partecipato. Come è evidente tutto questo è destinato a rendere opache le scelte, come pure i mercati». Epifani critica anche la nuova legge sul risparmio perchè «non risponde bene ai problemi di funzionamento del nostro mercato finanziario. Non interviene nel campo dei conflitti di interesse nelle attività degli intermediari bancari nè con la leva della regolamentazione, nè con quella della concorrenza; non affronta il nodo degli assetti proprietari e azionari delle banche italiane, destinato a diventare o il freno o la leva dei percorsi di riaggregazione che si stanno costruendo e che riguardano non soltanto le quattro banche di cui si parla, ma la stessa Mediobanca e Generali, e quindi il cuore del potere finanziario italiano. Per non parlare dei più grandi gruppi industriali, quali Telecom e Fiat». E boccia nuovamente la riforma previdenziale «un'operazione ingiusta tra fasce di età, rigida nelle modalità di scelta per innalzare l'età di accesso alla pensione, e che ha lasciato irrisolti i problemi che la riforma Dini non aveva completato». Una scelta che penalizza «senza soluzione i lavoratori discontinui e a basso reddito, che non prevede nessuna rivalutazione delle pensioni e che ha infine posticipato le misure di sostegno e incentivazione per l'adesione alla previdenza complementare».A Prodi domanda «non una politica dei cento giorni, ma dei tremila» come impegno per riprogettare il Paese, nel caso il centrosinistra dovesse vincere le elezioni del 9 aprile, e ricorda che un anno fa i sindacati indirizzano una lettera al Professore esprimendo «preoccupazione per la situazione e chiedendo un programma di radicale cambiamento. Oggi il programma dell'Unione è stato varato - aggiunge - e la Cgil può dire di trovarvi una risposta positiva a quella lettera». L'invito ai leader del centrosinistra venuti ad ascoltare la sua relazione è dunque esplicito, perchè dice, sull'Unione «pesa una grande responsabilità, che senza retorica si può definire storica: quella di fare prevalere, nel consenso democratico, la necessità di una svolta, e di assicurare con serietà e rigore l'opera della ricostruzione». Come? «Dal nostro punto di vista - chiarisce Epifani - sappiamo che riprogettare il Paese non sarà impegno facile, nè di breve durata e questo richiede unità, costanza, determinazione, coraggio. Non serve una politica dei cento giorni, ma dei tremila». Quindi propone un nuovo Patto fiscale per uscire dalle secche del ristagno economico. Un patto che servirà a reperire risorse per lo sviluppo, ripristinare «una giustizia fiscale», riequilibrare la tassazione fra rendite, patrimoni e redditi da lavoro, restituire il fiscal drag e «operare una fiscalizzazione contributiva sui salari più bassi». Precisa «Se Cisl e Uil fossero d'accordo, come penso, insieme dovremo fare il primo passo: chiedere al Governo che uscirà dalle elezioni, se avrà questi obiettivi nei suoi impegni di programma, un confronto in questa direzione, dando la possibilità a negoziare e a definire, se ve ne saranno le condizioni, un accordo di legislatura». Questo significa, secondo Epifani, «che non vi potranno essere due tempi, prima il risanamento e poi il resto, e che il Governo dovrà in questo modo sostenere esplicitamente i redditi da pensione e quelli da lavoro dipendente». Sulla legge 30, il leader Cgil ribadisce: «Occorre andare oltre, ribaltandone la filosofia. Andranno cancellate tutte le norme che precarizzano il rapporto di lavoro, favoriscono la destrutturazione dell'impresa e indeboliscono la contrattazione collettiva». Poi indica: «Non si dovranno più avere costi diversi e più bassi per le forme di lavoro flessibili. Bisognerà controllare e ridurre le esternalizzazioni nei settori pubblici. Andranno contrattati piani di stabilizzazione per i precari di lunga durata». E su Fiat: «Non ha alcun senso che si parli di licenziamenti alla Fiat. E questo voglio dirlo chiaramente sia all'azienda che al ministro Maroni». Poi torna a difendere il contratto nazionale come « forma più moderna ed efficace per regolare norme, diritti e doveri del rapporto di lavoro su tutto il territorio nazionale e per concorrere alla difesa e all'incremento in maniera uniforme del potere d'acquisto delle retribuzioni». Cgil, dunque, non cambia idea sulla necessità di mantenere l'impianto di un contratto nazionale che, secondo Confindustria e le altre due organizzazioni confederali, ha mostrato i suoi limiti in alcuni rinnovi contrattuali di categoria, in particolare quello dei metalmeccanici: «la media delle retribuzioni è destinata inevitabilmente ad abbassarsi. Il sistema di regole contrattuali deve essere uno per tutti i settori pubblici e privati». Epifani chiarisce inoltre che « il livello nazionale di contrattazione non può essere messo in alternativa alla qualificazione della contrattazione decentrata, scelta oggi ancora più importante e fondamentale di fronte alle trasformazioni nell'organizzazione del lavoro, nei confini dell'impresa e nella condizione dei lavoratori». Poi riconosce che negli ultimi due anni c'è stato un atteggiamento diverso da parte di Confindustria verso la Cgil e che le due organizzazioni hanno lavorato «insieme» su molti temi. «Ma tutto o quasi è restato fermo, bloccato dal modello contrattuale - lamenta - non penso che questo sia per tutti il modo migliore per affrontare i temi di comune interesse». Quindi osserva che sui nuovi contratti ci sono posizioni differenti anche con Cisl e Uil e chiarisce «Come sempre accade in presenza di opinioni diverse le distanze possono ridursi o allargarsi secondo le volontà e le disponibilità dei rispettivi punti di vista».
Argomenta il leader Cgil dal congresso di Rimini: «Il biliancio di questi cinque anni ci dice onestamente che il disegno di far ripartire il Paese con la riduzione delle tasse e i premi fiscali verso patrimoni e rendite e con la riduzione dei diritti del lavoro, è fallito. Come è fallita la scelta di cancellare il dialogo sociale, il confronto con le controparti». Epifani considera ora l'Italia a «un bivio» e avverte «Se non si opera un profondo cambiamento il paese è destinato a restare indietro e a dividersi». I cinque anni della legislatura che sta per finire, sottolinea «presentano la crescita media più bassa del Pil italiano di tutta la storia della Repubblica». Per questo bisogna «riprogettare il Paese partendo dal lavoro», slogan scelto per il XV Congresso della Cgil. Dati alla mano il segretario generale Cgil riporta: «Aumento della produttività, Italia ultima. Crescita della spesa in ricerca, ultima. Pil, ultima. Competitività globale, ultima. Aiuti alla cooperazione, ultima. Invece - prosegue - siamo primi nell'inquinamento, nel costo dell'energia, nel debito pubblico, e secondi per la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata». Epifani ritiene che il Paese oggi si ritrovi più diviso e «relativamente più povero», ma precisa «iI nostro Presidente del Consiglio, come sappiamo, non condivide questo giudizio e pensa in realtà che il Paese sia più avanti di quello che le cifre rappresentino, e porta sempre ad esempio il numero dei telefonini posseduti dagli italiani. In più ha detto che l'Italia in Europa non siede più in panchina».Poi pone all'attenzione di Abi e Confindustria un tema preciso, sul quale dovrebbero lavorare per «studiare nuove regole per una governance più trasparente». Il leader Cgil punta il dito su quelli che denifisce «intrecci tra banche e imprese» e dice «oggi almeno 7 dei primi 10 gruppi bancari italiani hanno tra i loro azionisti di riferimento uno o più gruppi industriali; e in almeno 5 casi su 7 gli azionisti industriali denunciano posizioni di forte indebitamento rispetto al gruppo bancario partecipato. Come è evidente tutto questo è destinato a rendere opache le scelte, come pure i mercati». Epifani critica anche la nuova legge sul risparmio perchè «non risponde bene ai problemi di funzionamento del nostro mercato finanziario. Non interviene nel campo dei conflitti di interesse nelle attività degli intermediari bancari nè con la leva della regolamentazione, nè con quella della concorrenza; non affronta il nodo degli assetti proprietari e azionari delle banche italiane, destinato a diventare o il freno o la leva dei percorsi di riaggregazione che si stanno costruendo e che riguardano non soltanto le quattro banche di cui si parla, ma la stessa Mediobanca e Generali, e quindi il cuore del potere finanziario italiano. Per non parlare dei più grandi gruppi industriali, quali Telecom e Fiat». E boccia nuovamente la riforma previdenziale «un'operazione ingiusta tra fasce di età, rigida nelle modalità di scelta per innalzare l'età di accesso alla pensione, e che ha lasciato irrisolti i problemi che la riforma Dini non aveva completato». Una scelta che penalizza «senza soluzione i lavoratori discontinui e a basso reddito, che non prevede nessuna rivalutazione delle pensioni e che ha infine posticipato le misure di sostegno e incentivazione per l'adesione alla previdenza complementare».A Prodi domanda «non una politica dei cento giorni, ma dei tremila» come impegno per riprogettare il Paese, nel caso il centrosinistra dovesse vincere le elezioni del 9 aprile, e ricorda che un anno fa i sindacati indirizzano una lettera al Professore esprimendo «preoccupazione per la situazione e chiedendo un programma di radicale cambiamento. Oggi il programma dell'Unione è stato varato - aggiunge - e la Cgil può dire di trovarvi una risposta positiva a quella lettera». L'invito ai leader del centrosinistra venuti ad ascoltare la sua relazione è dunque esplicito, perchè dice, sull'Unione «pesa una grande responsabilità, che senza retorica si può definire storica: quella di fare prevalere, nel consenso democratico, la necessità di una svolta, e di assicurare con serietà e rigore l'opera della ricostruzione». Come? «Dal nostro punto di vista - chiarisce Epifani - sappiamo che riprogettare il Paese non sarà impegno facile, nè di breve durata e questo richiede unità, costanza, determinazione, coraggio. Non serve una politica dei cento giorni, ma dei tremila». Quindi propone un nuovo Patto fiscale per uscire dalle secche del ristagno economico. Un patto che servirà a reperire risorse per lo sviluppo, ripristinare «una giustizia fiscale», riequilibrare la tassazione fra rendite, patrimoni e redditi da lavoro, restituire il fiscal drag e «operare una fiscalizzazione contributiva sui salari più bassi». Precisa «Se Cisl e Uil fossero d'accordo, come penso, insieme dovremo fare il primo passo: chiedere al Governo che uscirà dalle elezioni, se avrà questi obiettivi nei suoi impegni di programma, un confronto in questa direzione, dando la possibilità a negoziare e a definire, se ve ne saranno le condizioni, un accordo di legislatura». Questo significa, secondo Epifani, «che non vi potranno essere due tempi, prima il risanamento e poi il resto, e che il Governo dovrà in questo modo sostenere esplicitamente i redditi da pensione e quelli da lavoro dipendente». Sulla legge 30, il leader Cgil ribadisce: «Occorre andare oltre, ribaltandone la filosofia. Andranno cancellate tutte le norme che precarizzano il rapporto di lavoro, favoriscono la destrutturazione dell'impresa e indeboliscono la contrattazione collettiva». Poi indica: «Non si dovranno più avere costi diversi e più bassi per le forme di lavoro flessibili. Bisognerà controllare e ridurre le esternalizzazioni nei settori pubblici. Andranno contrattati piani di stabilizzazione per i precari di lunga durata». E su Fiat: «Non ha alcun senso che si parli di licenziamenti alla Fiat. E questo voglio dirlo chiaramente sia all'azienda che al ministro Maroni». Poi torna a difendere il contratto nazionale come « forma più moderna ed efficace per regolare norme, diritti e doveri del rapporto di lavoro su tutto il territorio nazionale e per concorrere alla difesa e all'incremento in maniera uniforme del potere d'acquisto delle retribuzioni». Cgil, dunque, non cambia idea sulla necessità di mantenere l'impianto di un contratto nazionale che, secondo Confindustria e le altre due organizzazioni confederali, ha mostrato i suoi limiti in alcuni rinnovi contrattuali di categoria, in particolare quello dei metalmeccanici: «la media delle retribuzioni è destinata inevitabilmente ad abbassarsi. Il sistema di regole contrattuali deve essere uno per tutti i settori pubblici e privati». Epifani chiarisce inoltre che « il livello nazionale di contrattazione non può essere messo in alternativa alla qualificazione della contrattazione decentrata, scelta oggi ancora più importante e fondamentale di fronte alle trasformazioni nell'organizzazione del lavoro, nei confini dell'impresa e nella condizione dei lavoratori». Poi riconosce che negli ultimi due anni c'è stato un atteggiamento diverso da parte di Confindustria verso la Cgil e che le due organizzazioni hanno lavorato «insieme» su molti temi. «Ma tutto o quasi è restato fermo, bloccato dal modello contrattuale - lamenta - non penso che questo sia per tutti il modo migliore per affrontare i temi di comune interesse». Quindi osserva che sui nuovi contratti ci sono posizioni differenti anche con Cisl e Uil e chiarisce «Come sempre accade in presenza di opinioni diverse le distanze possono ridursi o allargarsi secondo le volontà e le disponibilità dei rispettivi punti di vista».
tratto da www.ilsole24ore.com
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