Gheddafi: "I dimostranti di Bengasi volevano uccidere console italiano"
I manifestanti libici tentarono di uccidere il console italiano e i suoi familiari quando, due settimane fa, diedero l'assalto al consolato italiano a Bengasi. Lo ha detto stasera Muahhar Gheddafi. Ma non basta: il leader libico ha aggiunto che non sono da escludere ulteriori attacchi se il governo italiano si rifiuterà di risarcire Tripoli quello che il nostro Paese fece durante il periodo coloniale, quando - ha dichiarato - furono uccisi migliaia di suoi concittadini.
Il riferimento del capo di Stato libico è ai tumulti del 17 febbraio scorso, nel corso dei quali sono rimaste uccise 14 persone. Una protesta con tentato assalto al consolato italiano a Bengasi: legata sia all'ondata di manifestazioni contro la pubblicazione delle vignette di Maometto in alcuni paesi europei, sia alla "mossa" dell'allora ministro leghista Roberto Calderoli. Che, nel corso della trasmissione condotta da Clemente Mimun, mostrò una t-shirt con quelle stesse vignette.
Risultato: a Bengasi, quel 17 febbraio, centinaia di dimostranti sono arrivati davanti al consolato, hanno rotto il cordone di polizia che lo proteggeva, hanno dato fuoco a quattro automobili. Hanno poi spaccato i vetri di molte stanze del piano terra, tentando di gettarvi dentro latte di benzina; hanno anche tentato di forzare la porta d'ingresso senza riuscirci. La polizia libica ha messo in salvo in un albergo il console e tutto il personale che si trovava all'interno. E poi ha fatto fuoco sui contestatori: quattordici i morti, numerosi i feriti.
E adesso, a due settimane di distanza, sono arrivate le parole, un po' minacciose, di Gheddafi. Nel giorno in cui le autorità di Tripoli hanno ordinato il rilascio di 130 prigionieri politici detenuti in una prigione della capitale, 85 dei quali appartenenti al partito fuorilegge della Fratellanza musulmana. E cioè il movimento che, secondo la maggioranza degli osservatori, sarebbe dietro le violenze contro il consolato italiano di Bengasi.
Il riferimento del capo di Stato libico è ai tumulti del 17 febbraio scorso, nel corso dei quali sono rimaste uccise 14 persone. Una protesta con tentato assalto al consolato italiano a Bengasi: legata sia all'ondata di manifestazioni contro la pubblicazione delle vignette di Maometto in alcuni paesi europei, sia alla "mossa" dell'allora ministro leghista Roberto Calderoli. Che, nel corso della trasmissione condotta da Clemente Mimun, mostrò una t-shirt con quelle stesse vignette.
Risultato: a Bengasi, quel 17 febbraio, centinaia di dimostranti sono arrivati davanti al consolato, hanno rotto il cordone di polizia che lo proteggeva, hanno dato fuoco a quattro automobili. Hanno poi spaccato i vetri di molte stanze del piano terra, tentando di gettarvi dentro latte di benzina; hanno anche tentato di forzare la porta d'ingresso senza riuscirci. La polizia libica ha messo in salvo in un albergo il console e tutto il personale che si trovava all'interno. E poi ha fatto fuoco sui contestatori: quattordici i morti, numerosi i feriti.
E adesso, a due settimane di distanza, sono arrivate le parole, un po' minacciose, di Gheddafi. Nel giorno in cui le autorità di Tripoli hanno ordinato il rilascio di 130 prigionieri politici detenuti in una prigione della capitale, 85 dei quali appartenenti al partito fuorilegge della Fratellanza musulmana. E cioè il movimento che, secondo la maggioranza degli osservatori, sarebbe dietro le violenze contro il consolato italiano di Bengasi.
La Bbc riferisce che la decisione di rilasciare i prigionieri politiche è il frutto delle pressioni della Fondazione Gheddafi, diretta dal figlio del leader libico Seif el-Islam Gheddafi.
Artcolo tratto da www.repubblica.it
LA REPLICA DI GIANFRANCO FINI
Le parole del Colonnello Muammar Gheddafi non devono impressionare più di tanto, perché è chiaro che si tratta più di un' arringa comiziale ai suoi fedelissimi che di una responsabile presa di posizione in campo internazionale. E' quanto afferma il vicepremier e ministro degli esteri Gianfranco Fini in una dichiarazione, diffusa oggi, sul discorso tenuto ieri dal leader libico Gheddafi.
Quanto ai rapporti italo-libici - prosegue il vicepremier e ministro degli Esteri Gianfranco Fini - la posizione dell' Italia rimane quella enunciata in Parlamento e chiaramente indicata nella Dichiarazione approvata dal Consiglio dei Ministri del 23 febbraio, nella quale veniva testualmente data priorità assoluta alla duplice esigenza di: "1) chiudere definitivamente il capitolo storico del passato coloniale, anche con misure altamente significative, oltre a quelle già eseguite o in corso di esecuzione, da concordare con la parte libica, che diano il segno dell' amicizia tra i due popoli, rinnovando nel contempo l' invito alle Autorità libiche a dare seguito completo agli impegni sottoscritti, in particolare ai fini della concessione senza discriminazioni dei visti ai profughi italiani; 2) continuare a ricercare con la parte libica una soluzione accettabile del contenzioso economico sui crediti che vantano le aziende italiane, rappresentando nel contempo la necessità che si ponga termine alle limitazioni tuttora vigenti sul piano normativo e pratico in Libia a danno delle aziende italiane". Su questa strada il Governo intende proseguire, ma è di tutta evidenza - conclude Fini - che l' impegno deve essere reciproco e che nessun aiuto viene in questa direzione dalle ultime parole del Colonnello Gheddafi. (ANSA)
Quanto ai rapporti italo-libici - prosegue il vicepremier e ministro degli Esteri Gianfranco Fini - la posizione dell' Italia rimane quella enunciata in Parlamento e chiaramente indicata nella Dichiarazione approvata dal Consiglio dei Ministri del 23 febbraio, nella quale veniva testualmente data priorità assoluta alla duplice esigenza di: "1) chiudere definitivamente il capitolo storico del passato coloniale, anche con misure altamente significative, oltre a quelle già eseguite o in corso di esecuzione, da concordare con la parte libica, che diano il segno dell' amicizia tra i due popoli, rinnovando nel contempo l' invito alle Autorità libiche a dare seguito completo agli impegni sottoscritti, in particolare ai fini della concessione senza discriminazioni dei visti ai profughi italiani; 2) continuare a ricercare con la parte libica una soluzione accettabile del contenzioso economico sui crediti che vantano le aziende italiane, rappresentando nel contempo la necessità che si ponga termine alle limitazioni tuttora vigenti sul piano normativo e pratico in Libia a danno delle aziende italiane". Su questa strada il Governo intende proseguire, ma è di tutta evidenza - conclude Fini - che l' impegno deve essere reciproco e che nessun aiuto viene in questa direzione dalle ultime parole del Colonnello Gheddafi. (ANSA)
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