Ma il premier insiste sul decreto oppure Gianni Letta al Quirinale
Il paese è spaccato a metà. Se Prodi ritiene di poter governare, a noi dovrebbero spettare gli organismi di controllo. A cominciare dal Quirinale". Il riconteggio delle schede contestate e i riflettori puntati su quelle nulle non sono solo il tentativo di invertire il risultato elettorale. Per Berlusconi sono un'arma. Da imbracciare in vista delle prossime scadenze istituzionali. Da caricare quando il Parlamento sarà chiamato a eleggere il nuovo capo dello Stato.
E già, perché le speranze sui calcoli degli uffici centrali sono poche anche per il Cavaliere. Lo sa anche lui e nei tanti colloqui avuto ieri con i coordinatori e i ministri del suo partito non lo ha nascosto. Anche per questo ha rinviato la sua partecipazione a Matrix, la trasmissione di Mentana, prevista per oggi. Il suo cruccio, semmai, sono gli equilibri istituzionali prossimi venturi. Assetti da cui dipenderanno molte delle scelte anche nel campo aziendale, ossia delle sue imprese.
Vuole "garanzie", esattamente come accadde nel '96. E dopo dieci anni usa il voto contestato per tentare di imporre lo stesso schema. E allora: "I dubbi su questi risultati ci sono, si possono dissipare in modo molto semplice. Con un controllo vero, su tutte le schede. Quelle contestate e quelle annullate". Nell'ennesima cena a Via del Plebiscito con il suo staff, il presidente del consiglio è partito da questa premessa. Per arrivare ad una conseguenza: il decreto legge.
Secondo i tecnici di Palazzo Chigi, infatti, sarebbe possibile un decreto per modificare la legge elettorale e "ricontare" le schede su vasta scala. "Il premio di maggioranza - spiegano a Forza Italia - impone una clausola di garanzia, non è possibile che il governo e il capo dello Stato vengano determinati dagli errori". Non a caso fino a ieri sera, l'ultima speranza del premier e anche del leader di An, Gianfranco Fini, era di poter ridurre il distacco alla Camera sotto i 10 mila voti per poi tornare alla carica sul decreto. Chiedere al Colle di riesaminare il problema.
Berlusconi, però, conosce già la risposta del centrosinistra e del Quirinale. Tant'è che la subordinata sta diventando rapidamente l'opzione principale. "Se Ciampi e la sinistra non accettano questa soluzione, non resta che trovare un equilibrio ai vertici dello Stato. Ci diano gli organismi di controllo. E, insomma, niente decreto niente Ciampi bis. Noi rappresentiamo la metà degli italiani, questo vorrà pur dire qualcosa nella scelta del presidente della Repubblica?".
Tant'è che ieri, davanti ai fedelissimi, qualche nome a mo' d'esempio l'ha fatto: Gianni Letta e Beppe Pisanu. Anche se il secondo ha perso terreno sia per le incomprensioni con lo stesso Berlusconi, sia per i contatti avuti sullo stesso punto con alcuni esponenti dell'Unione. Certo, per Berlusconi questo sembra soprattutto l'avvio di una trattativa più che il punto di caduta. Tant'è che nel negoziato potrebbero entrare la presidenza del Senato (aprendo per il Quirinale a soluzione alternative, come Amato o D'Alema), qualche commissione di controllo e magari il cda della Rai. "Così ci sarà la vera pacificazione". L'obiettivo, insomma, è non uscire dal circuito decisionale.
Sapendo che il futuro imprenditoriale in buona parte dipende da quanto saprà condizionare gli assetti politici della nuova legislatura. La sua Mediaset è attesa da scadenze importanti, così come i tanti soldi incassati circa un anno fa dalla cessione di una parte della stessa azienda dovranno essere presto reinvestiti.
Per strappare un cenno di disponibilità, il Cavaliere mette sul tavolo il regolamento del Senato. Che tutela l'opposizione con molta più forza rispetto alla Camera.
"Se non accetteranno - è quindi la sua conclusione - non solo rimarrà una macchia su questa legislatura e io lo ricorderò ad ogni piè sospinto, ma a Palazzo Madama ci metteremo l'elmetto e non faremo passare neanche una legge. Con quei numeri, senza di noi non passa niente. Voglio vedere il dpef. Voglio vedere la finanziaria. Voglio vedere i pacs".
Per il momento Romano Prodi ha risposto con un secco no a tutte le avances berlusconiane, mentre nei Ds un sottile filo di dialogo qualcuno lo ha attivato. Ma il vero ostacolo per il premier è un altro: gli alleati. Se Fini è schierato al fianco del leader di Forza Italia, l'Udc e la Lega non ne vogliono sentire parlare. "Quando i risultati saranno definitivi e l'esito non sarà cambiato, dopo po' anche Silvio si dovrà calmare", dicono a Via Due Macelli. Anche perché per i centristi, a questo punto la terra promessa si chiama "centrodestra deberlusconizzato". E solo con la sconfitta elettorale "certificata" si può raggiungere. Solo in quel modo potrà scattare per Casini la corsa alla leadership della Cdl. Sapendo che la paralisi di Palazzo Madama è praticabile solo se l'opposizione è compatta. Ma prima bisognerà aspettare che la Cassazione ufficializzi i risultati.
da repubblica.it
E già, perché le speranze sui calcoli degli uffici centrali sono poche anche per il Cavaliere. Lo sa anche lui e nei tanti colloqui avuto ieri con i coordinatori e i ministri del suo partito non lo ha nascosto. Anche per questo ha rinviato la sua partecipazione a Matrix, la trasmissione di Mentana, prevista per oggi. Il suo cruccio, semmai, sono gli equilibri istituzionali prossimi venturi. Assetti da cui dipenderanno molte delle scelte anche nel campo aziendale, ossia delle sue imprese.
Vuole "garanzie", esattamente come accadde nel '96. E dopo dieci anni usa il voto contestato per tentare di imporre lo stesso schema. E allora: "I dubbi su questi risultati ci sono, si possono dissipare in modo molto semplice. Con un controllo vero, su tutte le schede. Quelle contestate e quelle annullate". Nell'ennesima cena a Via del Plebiscito con il suo staff, il presidente del consiglio è partito da questa premessa. Per arrivare ad una conseguenza: il decreto legge.
Secondo i tecnici di Palazzo Chigi, infatti, sarebbe possibile un decreto per modificare la legge elettorale e "ricontare" le schede su vasta scala. "Il premio di maggioranza - spiegano a Forza Italia - impone una clausola di garanzia, non è possibile che il governo e il capo dello Stato vengano determinati dagli errori". Non a caso fino a ieri sera, l'ultima speranza del premier e anche del leader di An, Gianfranco Fini, era di poter ridurre il distacco alla Camera sotto i 10 mila voti per poi tornare alla carica sul decreto. Chiedere al Colle di riesaminare il problema.
Berlusconi, però, conosce già la risposta del centrosinistra e del Quirinale. Tant'è che la subordinata sta diventando rapidamente l'opzione principale. "Se Ciampi e la sinistra non accettano questa soluzione, non resta che trovare un equilibrio ai vertici dello Stato. Ci diano gli organismi di controllo. E, insomma, niente decreto niente Ciampi bis. Noi rappresentiamo la metà degli italiani, questo vorrà pur dire qualcosa nella scelta del presidente della Repubblica?".
Tant'è che ieri, davanti ai fedelissimi, qualche nome a mo' d'esempio l'ha fatto: Gianni Letta e Beppe Pisanu. Anche se il secondo ha perso terreno sia per le incomprensioni con lo stesso Berlusconi, sia per i contatti avuti sullo stesso punto con alcuni esponenti dell'Unione. Certo, per Berlusconi questo sembra soprattutto l'avvio di una trattativa più che il punto di caduta. Tant'è che nel negoziato potrebbero entrare la presidenza del Senato (aprendo per il Quirinale a soluzione alternative, come Amato o D'Alema), qualche commissione di controllo e magari il cda della Rai. "Così ci sarà la vera pacificazione". L'obiettivo, insomma, è non uscire dal circuito decisionale.
Sapendo che il futuro imprenditoriale in buona parte dipende da quanto saprà condizionare gli assetti politici della nuova legislatura. La sua Mediaset è attesa da scadenze importanti, così come i tanti soldi incassati circa un anno fa dalla cessione di una parte della stessa azienda dovranno essere presto reinvestiti.
Per strappare un cenno di disponibilità, il Cavaliere mette sul tavolo il regolamento del Senato. Che tutela l'opposizione con molta più forza rispetto alla Camera.
"Se non accetteranno - è quindi la sua conclusione - non solo rimarrà una macchia su questa legislatura e io lo ricorderò ad ogni piè sospinto, ma a Palazzo Madama ci metteremo l'elmetto e non faremo passare neanche una legge. Con quei numeri, senza di noi non passa niente. Voglio vedere il dpef. Voglio vedere la finanziaria. Voglio vedere i pacs".
Per il momento Romano Prodi ha risposto con un secco no a tutte le avances berlusconiane, mentre nei Ds un sottile filo di dialogo qualcuno lo ha attivato. Ma il vero ostacolo per il premier è un altro: gli alleati. Se Fini è schierato al fianco del leader di Forza Italia, l'Udc e la Lega non ne vogliono sentire parlare. "Quando i risultati saranno definitivi e l'esito non sarà cambiato, dopo po' anche Silvio si dovrà calmare", dicono a Via Due Macelli. Anche perché per i centristi, a questo punto la terra promessa si chiama "centrodestra deberlusconizzato". E solo con la sconfitta elettorale "certificata" si può raggiungere. Solo in quel modo potrà scattare per Casini la corsa alla leadership della Cdl. Sapendo che la paralisi di Palazzo Madama è praticabile solo se l'opposizione è compatta. Ma prima bisognerà aspettare che la Cassazione ufficializzi i risultati.
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