«Romano e Silvio? Due sconfitti»
«È giunto il momento che Silvio Berlusconi riconosca di aver preso un voto in meno di Romano Prodi, e che Prodi a sua volta ammetta di avere più problemi che voti». Sebbene sia un autorevole esponente del centrodestra, come una sorta di «re senza terra» della politica italiana Marco Follini attende che si compia il tempo della Grande coalizione, «che non è ancora in agenda ma ci entrerà», e nel frattempo parla del Cavaliere e del Professore come di «due sconfitti». Lo fa partendo dal paragone con «le elezioni del 1976, quando dalle urne - come disse allora Aldo Moro - uscirono due vincitori: la Dc e il Pci. Quel voto portò al governo di solidarietà nazionale. Oggi il risultato vede invece in campo due sconfitti, perché Berlusconi ha perso palazzo Chigi, ma Prodi dovrà fare i conti con numeri troppo piccoli e contraddizioni troppo grandi». E «certo, si tratta di due sconfitti rispettabili, influenti e importanti», siccome «entrambi escono dalla competizione onusti di voti, ma prigionieri di difficoltà». Si intuisce che l’ex segretario dell’Udc ha lo sguardo già rivolto al futuro, ben oltre l’orizzonte in cui colloca la necessità, quella che lui definisce «l’esigenza politica», di aprire una fase di «pacificazione nazionale». È un percorso a tappe. Parte dall’«indispensabile collaborazione tra i due poli sulle cariche istituzionali e sulle regole». Poi passa da una «intesa» sui temi economici: «Dall’emergenza nazionale del debito pubblico, che va sottratta al gioco dello scontro, alla legislazione sul nodo della concorrenza, che serve a renderci più competitivi». Infine si consolida sulla «politica internazionale», dove «è già accaduto che per sopravvivere il centro-sinistra abbia avuto bisogno di noi». Già prima del 9 aprile Follini teorizzava la Grande coalizione, figurarsi oggi: «Lo so che non è dietro l’angolo, però penso che le difficoltà del Paese siano tali che il tema diverrà di strettissima attualità». Anche il Financial Times sembra indicare questa strada, paventando uno stallo politico e il rischio di un’uscita dell’Italia dall’Eurozona. «Il Financial Times non vota ma pesa. Quell’articolo non lo interpreto come una congiura, ma come un segnale delle nostre difficoltà. E l’Unione fa male a insorgere. Sono opinioni con cui fare i conti. Sta poi alla classe politica smentire quella profezia. Non è sventolando le bandiere che ne verremo a capo». I poli ammaineranno le bandiere per la scelta del prossimo capo dello Stato? «Siamo nelle condizioni di scegliere insieme, confermando un presidente della Repubblica che abbiamo condiviso tutti: quello che c’è». Ma Carlo Azeglio Ciampi non sembra disponibile. «Nessuno può forzare la sua sensibilità personale, però credo sia lecito esprimere un desiderio che coincide con l’interesse del Paese. E parlo di un mandato pieno, non di un mandato a termine...». Nell’Unione magari qualcuno aveva fatto un pensierino a quella carica. «C’è un interesse generale evidente che neppure la miopia di una grande partigianeria può trascurare». Consumato il passaggio del Quirinale, e se la Grande coalizione non è ancora all’ordine del giorno, come si andrà avanti? Perché, all’apertura di Berlusconi, l’Unione ha risposto picche. «Per ora stanno tutti sul copione elettorale. Ma la partita è solo all’inizio. Il Polo si appresta a fare un’opposizione senza sconti. Nessuno di noi, nemmeno quelli più vicini alla linea di confine, farà da stampella a una maggioranza che traballa. Il problema è non far traballare il Paese. E siccome dubito che in una logica di muro contro muro possano governare a lungo...». ...Si arriverà alle larghe intese. «La politica conta più dell’aritmetica: il punto non sono tanto i loro numeri parlamentari esigui, ma i problemi da affrontare con una coalizione che è un coacervo di contraddizioni». Siccome lei rappresenta Berlusconi e Prodi come «due sconfitti», vuol dire che la Grande coalizione servirà ad aprire la fase del dopo Berlusconi e del dopo Prodi? «Non sto a ripetere le mie opinioni in materia, che sono invecchiate anche loro. Io penso che la soluzione di questa difficile equazione sarà affidata a chi, con più prontezza, afferrerà il bandolo della matassa. Il mio compito non è di fare nomi e tantomeno di escluderne. Anche perché Berlusconi e Prodi hanno ricevuto un battesimo di forza». Dica la verità, non si aspettava che il Cavaliere sarebbe riuscito ad arrivare sul filo di lana. «Le differenze politiche tra me e lui restano tutte. Ma onestamente mi ha sorpreso e gliene do atto». E magari se lei avesse consentito la modifica della par condicio, avrebbe vinto. L’ha riconosciuto persino il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa. «Può darsi che il Polo avrebbe preso qualche voto in più, ma resto convinto che una simile forzatura avrebbe fatto perdere punti al Paese». Magari la Grande coalizione può far perdere al Paese il bipolarismo. «Al contrario. Credo serva a far crescere il modello bipolare. Il filo spinato con cui sono difesi oggi i due schieramenti deve lasciare spazio a un filo di comunicazione. Il rischio è che le coalizioni saltino se non c’è una cornice comune». Sarà, ma quel disegno porta a disarticolare da una parte il rapporto tra l’Unione e la sinistra antagonista, e dall’altra il legame tra il Polo e la Lega.
«Non è che si può fare la Grande coalizione come fosse la casa del Grande Fratello, in cui le nomination servono per escludere qualcuno. Il progetto di collaborazione a mio avviso serve. Altrimenti qual è l’alternativa se l’Unione non riuscisse ad andare avanti? Io non sono tra quanti pensano che una legislatura appena iniziata debba essere buttata via ai primi venti autunnali». Secondo lei lo pensa Berlusconi? «Ma questo è un Paese che ha bisogno di un minimo di respiro. Altrimenti il rischio è che la crisi del sistema sia più pesante del bottino che i vincenti riterranno di poter conquistare». Se è vero che l’intento della Grande coalizione è modernizzare il bipolarismo italiano, sarebbe disponibile nel frattempo a lavorare per la nascita di un partito dei moderati che va da An a Forza Italia? «Se si mettesse mano alle regole e si irrobustisse la cornice istituzionale, si potrebbero fare molte cose. Ognuna però ha il suo tempo». (Corriere.it)
«Non è che si può fare la Grande coalizione come fosse la casa del Grande Fratello, in cui le nomination servono per escludere qualcuno. Il progetto di collaborazione a mio avviso serve. Altrimenti qual è l’alternativa se l’Unione non riuscisse ad andare avanti? Io non sono tra quanti pensano che una legislatura appena iniziata debba essere buttata via ai primi venti autunnali». Secondo lei lo pensa Berlusconi? «Ma questo è un Paese che ha bisogno di un minimo di respiro. Altrimenti il rischio è che la crisi del sistema sia più pesante del bottino che i vincenti riterranno di poter conquistare». Se è vero che l’intento della Grande coalizione è modernizzare il bipolarismo italiano, sarebbe disponibile nel frattempo a lavorare per la nascita di un partito dei moderati che va da An a Forza Italia? «Se si mettesse mano alle regole e si irrobustisse la cornice istituzionale, si potrebbero fare molte cose. Ognuna però ha il suo tempo». (Corriere.it)
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