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29.6.06

La Cdl occupa per protesta Palazzo Madama

I senatori di Fi occupano per 8 ore l’aula per impedire l’espulsione di Malan. La doppia fiducia chiesta dal governo sul decreto milleproroghe e sullo spacchettamento dei ministeri è suonata per la Cdl come una specie di ammissione di impotenza, l’impossibilità di governare senza il voto palese

La «guerra delle due fiducie» andata in scena al Senato dimostra che la legislatura resta ostaggio di un’ipoteca pericolosa: la totale assenza di dialogo tra maggioranza e opposizione. In un certo senso lo riconosce Anna Finocchiaro quando, pur accusando il centrodestra di aver orchestrato un’aggressione squadristica, parla di un problema politico aperto: quello degli spazi di parola per la minoranza. Il Capo dello Stato ha intuito per tempo la potenzialità esplosiva di una campagna elettorale permanente, tanto da assegnare alla sua presidenza il compito di favorire il dialogo tra i due poli. E oggi, pur impossibilitato a entrare nel merito della battaglia parlamentare come avrebbe voluto la Cdl, si è adoperato per una «moral suasion», auspicando un sollecito chiarimento tra i due schieramenti. In questo senso, occorre riconoscere che il ciclo vincente dell’Unione non è ancora riuscito a bagnare le polveri del berlusconismo: nonostante le sconfitte, il Cavaliere sembra convinto di poter resistere in trincea perchè le divisioni della maggioranza non consentiranno a Prodi di durare a lungo. Effettivamente il ristretto margine di voti sui quali può contare l’Unione al Senato fanno pensare al pericolo costante di un infortunio: la doppia fiducia chiesta dal governo sul decreto milleproroghe e sullo spacchettamento dei ministeri è suonata per la Cdl come una specie di ammissione di impotenza, l’impossibilità di governare senza il voto palese. I capigruppo del centrodestra accusano Marini di comportamenti ai limiti del golpismo per aver impedito la discussione delle pregiudiziali; ma, al di là dell’enormità della denuncia, anche nell’Unione ci si rende conto che non è possibile governare comprimendo troppo gli spazi di dibattito perchè così si rischia di svuotare il volano del risultato referendario che ha incoraggiato una parte dell’opposizione a cercare il dialogo sulle riforme. Non a caso Berlusconi ha sentenziato che da una maggioranza di questo tipo non c’è da attendersi nulla: un modo per ostacolare il confronto in attesa di ridefinire i propri obiettivi. La risposta di Prodi a questa strategia non è ancora chiara. E si capisce perchè: l’ipoteca della sinistra radicale sulla politica estera (ma anche su quella economica) costringe il premier a continue, seppur millimetriche, correzioni di rotta. Il caso Afghanistan è esemplare: l’accordo faticosamente raggiunto tra gli alleati in un vertice con D’Alema e Parisi è stato prontamente respinto da otto senatori di Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani. I parlamentari hanno ricordato di aver sempre votato contro la missione e di non essere disponibili a sostenerla se non si parlerà esplicitamente di exit strategy. Ora non sembra che le accuse di irresponsabilità piovute dai vertici siano destinate a far breccia nei dissidenti, almeno non tutti, e alcuni di loro sembrano contare sul soccorso di settori dell’opposizione per continuare a sventolare la bandiera del pacifismo. In un certo senso si ripropone il fantasma del Kosovo, quando il voto di Rifondazione fu rimpiazzato da quello del centrodestra. Tuttavia le cose non sono più così semplici. Innanzitutto perchè - come dice Casini - l’appoggio dei centristi non è a scatola chiusa: l’Udc attende di conoscere il testo del decreto e potrebbe non votarlo se la missione non sarà confermata nelle sue linee fondamentali approvate a suo tempo dalla Cdl. E poi perchè il governo non si può permettere di restare senza la propria maggioranza alla prima prova importante di politica estera: sarebbe la confessione implicita di una grave asimmetria programmatica, un vero e proprio esperimento di «geometria variabile». Ecco perchè Giordano, Diliberto e Pecoraro si dicono sicuri che alla fine il centrosinistra si dimostrerà compatto, accettando come primo risultato concreto di aver «spostato in avanti» le direttrici della diplomazia italiana. Ma, certo, resta la sensazione di un’ambiguità di fondo, di un nodo non sciolto. Lo stesso che attanaglia l’opposizione, dove Bondi e Fini si chiedono che senso abbia la fuga in avanti di Casini: prima di annunciare la propria posizione, commentano, sarebbe stato meglio parlarne con gli alleati. Ma tutti sanno che ormai l’apertura di una nuova fase è un fatto inarrestabile...
Fonte: GdM

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