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22.9.06

Montezemolo: «Fermiamo il dirigismo»


No, questo non è un Paese di capitalisti senza capitali: «Qui ci sono aziende piccole, medie, grandi che investono, rischiano, innovano, esportano. Che vivono di mercato ». E sì, certo che un rischio c'è, però in direzione opposta: «Nostalgie, tendenze, tentazioni dirigistiche». A tutti i livelli: «In ampie fette della maggioranza, dunque anche del governo, ma senza che ne sia esente l'opposizione. Al centro come in periferia: i pochi passi indietro fatti in passato dallo Stato sono più che compensati dal moltiplicarsi del neostatalismo municipale. C'erano 30 aziende municipalizzate in forma di Spa, dieci anni fa. Sono più di 800 oggi. E tutte a controllo pubblico. È una vera concorrenza sleale a danno delle imprese e dei consumatori con i soldi dei cittadini ».
Non è che la prenda larga, Luca Cordero di Montezemolo. È che è appena atterrato dal viaggio in Cina. E il fragore della guerra politica su Telecom, vissuta dal centro di una missione ultracruciale per il futuro dell'economia italiana, lo sente proprio per questo ancor più potenzialmente devastante: «Rischia di farci fare altri passi indietro nell'immagine e nella credibilità internazionale». Con un paradosso su tutti, che naturalmente non sfugge al presidente di Confindustria e della Fiat: protagonista in entrambi i casi — agli antipodi — quel Romano Prodi che accanto a Montezemolo da un lato si spendeva (come non aveva fatto in cinque anni Silvio Berlusconi) per promuovere il nostro Paese e le sue imprese nell'Impero di Mezzo, dall'altro non le mandava certo a dire nello scontro con Marco Tronchetti Provera. Contribuendo a riempire di questo, non dell'Italia in Cina, giornali e tg italiani e internazionali.
E ci risiamo con le due scuole di pensiero, avvocato Montezemolo. E con le accuse. Alla politica: ingerenze nella vita di aziende private. Ma anche ai «condottieri»: capitalismo, appunto, senza capitali.
«Torno da Nanchino, Shanghai, Canton, e ho davanti agli occhi quest' immagine: 700 imprenditori piccoli e medi che da una città all'altra hanno avuto 5 mila incontri faccia a faccia con possibili partner. Imprenditori, per inciso, partiti a loro spese. Imprenditori che investono, rischiano, firmano affari. Che reagiscono. E crescono. Emi fa piacere notare che proprio oggi (ieri, ndr) e proprio citando la Cina Mario Draghi ce ne dà atto. D'altra parte, chi se non l'impresa è il motore della ripresa economica in atto? ».
Questa di cui parla è voglia di intraprendere. Ma i capitali, poi? Davvero non ci sono? Davvero, come insiste l'accusa, soprattutto nelle grandi imprese il nostro è un capitalismo avaro? Omagari più propenso alla rendita che non al rischio?
«Starei molto attento a dirlo. Non c'è dubbio che dobbiamo evitare di andare verso una società, diciamo così, "patrimonializzata", una società in cui i figli preferiscono le rendite e gli immobili. Ma oggi chi investe e compete c'è. I capitali anche. Dopodiché potremmo parlare a lungo del ruolo delle banche rispetto alle piccole e medie imprese. Ma gli esempi ci sono. Mi spiace citare la Fiat, non voglio essere autoreferenziale, però è un caso emblematico: gli azionisti hanno fatto la loro parte, le banche altrettanto, il management si è confrontato sul mercato. Eovunque sia andata e vada così, ovunque prevalga la cultura del mercato, del competere, dell'investire, la reazione c'è e i risultati si vedono. Altrove...».
Altrove?
«Altrove, dove prevalgono altre logiche e qualcosa di più che ingerenza politica, c'è Alitalia».
Tranchant, presidente. Vede lo stesso rischio in Telecom?
«Vedo, intanto, che mentre noi imprenditori, accompagnati e aiutati da un presidente del Consiglio che per questo ringraziamo, in Cina firmavamo accordi e recuperavamo un gap enorme, qui e anche là alla fine si parlava solo di Telecom. È stata, è una brutta pagina».
Brutta quanto? E per chi, di più?
«Ho detto in tempi non sospetti che ci sono due macigni intollerabili per il futuro dell'economia italiana: il sommerso, arrivato ormai al 25%, e la presenza pubblica nell'economia. Non sento più parlare di privatizzazioni... ».
La interrompo: forse perché, come dice qualcuno citando proprio Telecom e Autostrade, sono fallite...
«Allora si cambino le regole. Ma non si possono mettere in discussione scelte strategiche fatte da tempo. Intanto, i pochi passi indietro dello Stato sono stati ampiamente recuperati, moltiplicati per mille, a livello locale. E oggi rischiamo di andare oltre. Dispiace constatarlo, mava detto forte: il pericolo di un tentativo dirigistico, all'interno della maggioranza, c'è. Ci preoccupa l'estraneità di ampi settori della sinistra, ma anche della destra visto che poi, in cinque anni, di liberalizzazioni non ne ha fatte, alla cultura del mercato. È un male della politica italiana. E non vorrei che allora, qui, si tornasse a un recente passato. Quello della Banca d'Italia e delle scalate di un anno fa».
Teme questo, nella guerra Telecom? Statalismo? Irizzazione?
«Il rischio di un'ingerenza dello Stato sì, si è sentito. Ricordiamolo chiaro: Telecom è una società privata e quotata in Borsa, e lo Stato è lautamente remunerato per le quote che ancora possiede. Il governo potrà non gradire lo scorporo tra rete fissa e telefonia mobile ma, a parte il fatto che sono scelte aziendali, avremmo avuto bisogno di silenzio e sobrietà. Senza la diffusione di conversazioni riservate e senza l'avvilente dibattito che ne è seguito. Dall' estero ho avuto ancora più netta la sensazione che per il Paese si sia trattato di un brutto passo indietro. E il gesto di responsabilità l'ha compiuto Tronchetti, con le proprie dimissioni, per sottrarre il gruppo a un conflitto che aveva già provocato effetti negativi. All'azienda e non solo. Per questo la sua decisione va apprezzata».
Le bordate sono arrivate da entrambe le parti. Però, se forse voi in Cina la vivevate in modo più attutito, a leggere certe dichiarazioni di Prodi da qui la sensazione di un attacco personale e diretto non l'ha avuta solo Tronchetti. E anche il «piano Rovati»...
«Usiamo un eufemismo? Diciamo che, quanto a sensazioni di ingerenza in una società privata, il piano certo non ha aiutato».
Pierluigi Bersani, per esempio, forse il ministro dell'Industria in assoluto più apprezzato da voi imprenditori, dice comunque: «Partiamo da questa vicenda per riformare il capitalismo italiano»".
«Non certo con più Stato nell'economia. Lo Stato non va fermato: va fatto indietreggiare. Anche, e lo ripeto ancora una volta, nelle tante piccole Iri comunali. Di tutti i colori politici. Dobbiamo attuare il principio di sussidiarietà in base al quale lo Stato deve assicurare solo ciò che i privati non possono fare».
La sua formula?
«Dobbiamo stare attenti ai tentativi velleitario-dirigistici. Se il Paese vuole crescere, dobbiamo favorire il mercato, riformare il welfare, combattere le mille corporazioni e le mille sclerosi del sistema. E i tanti interessi costituiti, anche sindacali. Abbiamo bisogno di più concorrenza e meritocrazia anche nella pubblica amministrazione e nell'università».
Pure Confindustria è una corporazione e una lobby, presidente.
«E ripeto quello che dico da anni: i primi a doversi rimboccare le maniche e ad assumersi responsabilità dobbiamo essere noi. Lo abbiamo fatto, lo facciamo. Investendo, innovando, rischiando e accettando la competizione. L'economia democratica è questa. Le aziende ne sono il pilastro, non un nemico. E devono sentirsi capite e ascoltate dalla politica».
Come chiede, con interessi a volte contrapposti, anche chi per le aziende lavora. E ovviamente i sindacati. Temete che il governo di centrosinistra sia, in quanto tale, più disposto ad ascoltare loro? «Il centrosinistra, come qualunque governo, deve confrontarsi con le regole e le tutele sociali e farle rispettare. Ma mai con regole che impediscano al mercato di prosperare e crescere. Per il bene del Paese, non di Confindustria ». (www.corriere.it)

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