Afghanistan, otto dissidenti nell’Unione..ma l' UDC voterà si
Il governo si trova sulle montagne russe, con 8 senatori della sinistra radicale pronti a votare contro il decreto di rifinanziamento delle missioni militari. Fino a ieri mattina sembrava che il problema fosse il Pdci che era uscito dal vertice di maggioranza di due giorni fa dicendo che l’accordo non c’era perchè mancava una exit strategy da Kabul. A quel punto Prc e Verdi, spiazzati a sinistra, avevano detto che il problema era nelle mani di Romano Prodi. E infatti, subito dopo quel vertice dei capigruppo con i ministri D’Alema e Parisi, il premier ha telefonato a Diliberto mettendolo di fronte alle sue responsabilità: «Ti rendi conto che questo è un strappo che mette in crisi il governo?». Il pressing è continuato anche ieri. A telefonare a Diliberto sono stati D’Alema, Parisi, Mastella e Fassino. Tutti a ripetere che l’autosufficienza dell’Unione è un bene prezioso. Proprio nel giorno in cui l’ufficio politico dell’Udc, con Casini e Cesa, annuncia ufficialmente che il partito aggiungerà i propri voti a quelli del centrosinistra; e l’ex presidente della Camera motiva così la scelta: «Dire no ci squalificherebbe per vent'anni».Con Diliberto, D’Alema è stato il meno accomodante. Il suo disappunto era visibile quando ieri parlando da Berlino, ha detto di avere scoperto dai giornali che l’intesa non era stata raggiunta: «Però io mi fido più dei miei sensi che dei giornali. Mi fido del mio udito e degli appunti che ho preso. L’ accordo c’è, nessuno si dispone a votare contro il provvedimento e a mettere in difficoltà il governo». D’Alema parlava sulla base delle risposte che Diliberto ha dato ai suoi interlocutori: «Io, a differenza di altri (il riferimento è sempre al nemico-alleato Prc) non faccio cadere i governi e non aiutiamo a cambiare le maggioranza. Anzi vi invito - ha detto a D’Alema e Parisi - a respingere i voti dell’Udc. Comunque non ho mai detto che non voteremo il decreto, ma ho il diritto di mantenere la nostra posizione». Poi pubblicamente, Diliberto ha tagliato la testa al toro: «Il Pdci ha a cuore, senza alcun tentennamento, le sorti del governo Prodi». Risolta questa grana, ne è emersa un’altra, quella degli 8 senatori dell’Unione che hanno sottoscritto un documento nel quale si dice che se il decreto sull'Afghanistan resta così com’è, senza una exit strategy, non lo voteranno mai. A riportare sulle montagne russe il governo sono Gigi Malabarba, Claudio Grassi, Franco Turigliatto e Fosco Giannini del Prc, Mauro Bulgarelli, Loredana de Petris e Giampaolo Silvestri dei Verdi, Fernando Rossi del Pdci. Per loro la proroga della missione militare in Afghanistan, «non contiene elementi di discontinuità con le politiche attuate dal governo Berlusconi». Un bel problema per il Prc e i Verdi i cui vertici si trovano in casa un gruppo di dissidenti che farebbe venire meno la maggioranza proprio al Senato dove i numeri dell’Unione sono appesi a un filo. La soddisfazione di Diliberto poi è stata enorme per il fatto di aver convinto Fernando Rossi, l’unico del Pdci tra i firmatari, Rossi, a ritirare la sua firma. «Io - ha detto Diliberto - riesco a controllare i miei. Lo stesso non possono dirlo Bertinotti e Pecoraro Scanio». Il quale Pecoraro Scanio ha liquidato la questione affermando che per i Verdi va bene la mediazione raggiunta nella riunione dei capigruppo: «Se ci sono singoli parlamentari che non sono d’accordo, deve essere il capo della coalizione a convincerli. Ma se casca il governo non ci ritiriamo nemmeno dall’Iraq». Ieri sera c’è stato un’infuocata riunione dei parlamentari Verdi, con minacce di espulsione per i dissidenti. Stessa atmosfera dentro Rifondazione. E’ questo il partito in maggiore difficoltà. Franco Giordano ha spiegato che l’obiettivo del Prc era e resta il ritiro delle truppe italiane e Nato dall’Afghanistan: «Stiamo spostando in avanti la politica estera della maggioranza e del governo. Lo abbiamo fatto sull’Iraq guadagnando un ritiro completo. E lo stiamo facendo sull’Afghanistan operando in direzione di una diminuzione dell'impegno militare anzichè di un suo rafforzamento, attraverso un contestuale rafforzamento dell’impegno civile». Il dissenso interno? «La libera espressione del dissenso non può e non deve mettere in discussione, nel momento del voto parlamentare, l’autosufficienza e la tenuta della maggioranza e del governo».
fonte la stampa.it
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