Berlusconi non compra e De Benedetti ci prova
“Non c’è, e non c’è mai stato nessun interesse da parte di Mediaset su Telecom” e, di seguito, Silvio Berlusconi ha aggiunto: “Sarebbe un bell’affare con 40 miliardi di debiti…”. Con queste poche parole il Cavaliere ha chiuso con il polverone di voci che lo dava pronto ad acquistare Tim. Se avesse comperato la rete mobile si sarebbe trovato di fronte alla “conditio sine qua non“ di lasciare la politica attiva e, quindi, di non giocarsi più la carta della candidatura alla presidenza del Consiglio, facendo, così, la felicità di Pierferdinando Casini e di Marco Follini, oltre a quella degli avversari dello schieramento di maggioranza guidato da Romano Prodi. Scherzi a parte, Berlusconi si sarebbe trovato di fronte a un bivio: da una parte, il Cavaliere bianco salvatore di Telecom Italia, con l’acquisto di Tim, e proprietario di un colosso tlc e Tv; dall’altro, il leader politico del centrodestra, convinto di non uscire dalla politica e di continuare la propria battaglia per far ritorno a Palazzo Chigi. Come mai organi di stampa seri e bene informati, come Il Sole 24 ore, hanno ricamato sul fatto che l’ex presidente del Consiglio era pronto a comprare Tim? Per caso era per distrarre l’opinione pubblica dal vero acquirente o cordata di compratori che sta manovrando dietro le quinte? Una cosa è certa, il gruppo editoriale “Repubblica&Espresso” ha bombardato di continuo e in mille modi Telecom e Pirelli. Se dovessimo dire la nostra, De Benedetti è più interessato di Berlusconi a comprare l’azienda telefonica. Le prime avvisaglie sono state gli articoli di Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo sullo scandalo delle intercettazioni telefoniche.
Alla luce dei fatti, i due giornalisti hanno avuto ragione da vendere nell’aver denunciato la vicenda che coinvolge la security Pirelli e Telecom. Ma come mai adesso, proprio nel momento in cui Marco Tronchetti Provera ha deciso la ristrutturazione societaria? Tornando alla famiglia De Benedetti, Marco figlio dell’Ingegnere, già amministratore delegato di Tim, sarebbe fortemente interessato attraverso la gestione del fondo Carlyle a comprare la sua ex azienda. Il fondo a stelle e strisce è, tra l’altro, leader di una cordata di cui farebbero parte anche Blackstone e Permira, entrambe interessate come Carlyle a Tim. Ma dire che è il solo gruppo interessato, faremmo torto agli altri che stanno studiando i dossier di Tim, tra questi Mario Resca, il manager al vertice di McDonald’s Italia. Si dice anche che dietro ai fondi Templeton Internazionale e Blackstrone ci sarebbe Resca, il quale, però, ha smentito, senza escludere che ci siano parti interessate eterogenee e di diversi Paesi. “Ci sono - ha confessato - fondi di private equity americani, inglesi e anche del sud-est asiatico. E anche gruppi industriali”. Lo strumento che userebbe il manager per acquisire Tim sarebbero i bond, così il gruppo acquirente non sborserebbe un euro. “Praticamente, - scrive Il Sole 24 ore - si pagherebbe da sola mettendo sull’altro piatto della bilancia i 41 miliardi di bond del gruppo”. In Italia, quando si parla di bond vengono in mente gli scandali Cirio e Parmalat e l’Argentina. E finiamola qui.
E’ vero che i fondi di private equity sono zeppi di soldi, ma non possono spenderli per l’operazione che si aggirerebbe all’incirca sui 35 miliardi di euro. Intanto, per via dell’indebitamento di Telecom si dovrà procedere a una inderogabile ristrutturazione. Del caso non poteva non interessarsi la Goldman Sachs secondo cui “la situazione è potenzialmente volatile, dato che non è chiaro come si possa conciliare la volontà del Governo con la necessità di Olimpia di spingere il valore del titolo più in alto possibile tramite cessioni di attività”. Mentre banchieri, investitori e analisti della City (di Londra), che danno per scontato che Marco Tronchetti Provera deve procedere allo scorporo e alla cessione di Tim, non sono convinti che possa essere una cordata italiana la possibile acquirente. D’altro lato, nemmeno gli ex monopolisti tlc europei, possono fare il passo più lungo della propria gamba, dato che non versano in uno stato di salute finanziario buono. Dalla France Telecom alla Deutsche Telekom, esclusa la British Telekom in ottima forma, per via di una privatizzazione lunga, ma senza sbavature, voluta e fatta da Margaret Thatcher. Al contrario di quella fatta in Italia con una fretta del diavolo, perché il primo governo Prodi doveva far cassa. A onor del vero, ci fu lo zampino, anzi lo zampone di Bruxelles che, grazie al contributo sciagurato del commissario Van Miert, fece nascere malamente la privatizzazione.
Inoltre i mercati internazionali sono, come dire, nervosi di fronte a un’azienda privata di cui il governo Prodi vorrebbe salvaguardare l’italianità. Che fine ha fatto la Cassa depositi e prestiti che era la bandiera dell’italianità? Il presidente Ribecchini nega di aver mai avuto un dossier Telecom Italia tra le mani. Ed esclude che l’ente pubblico sia stato coinvolto direttamente o indirettamente in alcuna operazione di finanziamento e/o di entrata nel capitale di Olimpia, la holding di Telecom. Ma non nega la possibilità, se nel caso la Cdp venisse tirata in ballo, di impegnarsi in prima persona affinché l’ente assolva nel miglior dei modi la propria parte, come, del resto, farebbe ogni altro operatore finanziario. Intanto, la Cassa ha annunciato il proprio ingresso nel fondo europeo di private equity Galaxy con un investimento di 100 milioni di euro. Il problema di fondo che è nato con l’affaire Telecom è il seguente: lo Stato ha il dovere di intervenire, dato che è in gioco la sorte della più grande azienda tlc italiana, oppure deve lasciar fare al mercato, come puntualizzano gli economisti liberisti. Questo è il problema. Pensarci appena un po’, il cervello scoppia. (opionione.it)
Alla luce dei fatti, i due giornalisti hanno avuto ragione da vendere nell’aver denunciato la vicenda che coinvolge la security Pirelli e Telecom. Ma come mai adesso, proprio nel momento in cui Marco Tronchetti Provera ha deciso la ristrutturazione societaria? Tornando alla famiglia De Benedetti, Marco figlio dell’Ingegnere, già amministratore delegato di Tim, sarebbe fortemente interessato attraverso la gestione del fondo Carlyle a comprare la sua ex azienda. Il fondo a stelle e strisce è, tra l’altro, leader di una cordata di cui farebbero parte anche Blackstone e Permira, entrambe interessate come Carlyle a Tim. Ma dire che è il solo gruppo interessato, faremmo torto agli altri che stanno studiando i dossier di Tim, tra questi Mario Resca, il manager al vertice di McDonald’s Italia. Si dice anche che dietro ai fondi Templeton Internazionale e Blackstrone ci sarebbe Resca, il quale, però, ha smentito, senza escludere che ci siano parti interessate eterogenee e di diversi Paesi. “Ci sono - ha confessato - fondi di private equity americani, inglesi e anche del sud-est asiatico. E anche gruppi industriali”. Lo strumento che userebbe il manager per acquisire Tim sarebbero i bond, così il gruppo acquirente non sborserebbe un euro. “Praticamente, - scrive Il Sole 24 ore - si pagherebbe da sola mettendo sull’altro piatto della bilancia i 41 miliardi di bond del gruppo”. In Italia, quando si parla di bond vengono in mente gli scandali Cirio e Parmalat e l’Argentina. E finiamola qui.
E’ vero che i fondi di private equity sono zeppi di soldi, ma non possono spenderli per l’operazione che si aggirerebbe all’incirca sui 35 miliardi di euro. Intanto, per via dell’indebitamento di Telecom si dovrà procedere a una inderogabile ristrutturazione. Del caso non poteva non interessarsi la Goldman Sachs secondo cui “la situazione è potenzialmente volatile, dato che non è chiaro come si possa conciliare la volontà del Governo con la necessità di Olimpia di spingere il valore del titolo più in alto possibile tramite cessioni di attività”. Mentre banchieri, investitori e analisti della City (di Londra), che danno per scontato che Marco Tronchetti Provera deve procedere allo scorporo e alla cessione di Tim, non sono convinti che possa essere una cordata italiana la possibile acquirente. D’altro lato, nemmeno gli ex monopolisti tlc europei, possono fare il passo più lungo della propria gamba, dato che non versano in uno stato di salute finanziario buono. Dalla France Telecom alla Deutsche Telekom, esclusa la British Telekom in ottima forma, per via di una privatizzazione lunga, ma senza sbavature, voluta e fatta da Margaret Thatcher. Al contrario di quella fatta in Italia con una fretta del diavolo, perché il primo governo Prodi doveva far cassa. A onor del vero, ci fu lo zampino, anzi lo zampone di Bruxelles che, grazie al contributo sciagurato del commissario Van Miert, fece nascere malamente la privatizzazione.
Inoltre i mercati internazionali sono, come dire, nervosi di fronte a un’azienda privata di cui il governo Prodi vorrebbe salvaguardare l’italianità. Che fine ha fatto la Cassa depositi e prestiti che era la bandiera dell’italianità? Il presidente Ribecchini nega di aver mai avuto un dossier Telecom Italia tra le mani. Ed esclude che l’ente pubblico sia stato coinvolto direttamente o indirettamente in alcuna operazione di finanziamento e/o di entrata nel capitale di Olimpia, la holding di Telecom. Ma non nega la possibilità, se nel caso la Cdp venisse tirata in ballo, di impegnarsi in prima persona affinché l’ente assolva nel miglior dei modi la propria parte, come, del resto, farebbe ogni altro operatore finanziario. Intanto, la Cassa ha annunciato il proprio ingresso nel fondo europeo di private equity Galaxy con un investimento di 100 milioni di euro. Il problema di fondo che è nato con l’affaire Telecom è il seguente: lo Stato ha il dovere di intervenire, dato che è in gioco la sorte della più grande azienda tlc italiana, oppure deve lasciar fare al mercato, come puntualizzano gli economisti liberisti. Questo è il problema. Pensarci appena un po’, il cervello scoppia. (opionione.it)
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