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23.3.08

DRAMMA TIBET - Il trionfo del capital-comunismo. Cina, ecco perché l'Occidente non alza la voce

Niente scuse: siamo tutti in balia della Cina

A dimostrarlo è la reazione dell’Occidente di fronte alla rivolta del Tibet contro l’autorità di Pechino. I governi europei e gli Stati Uniti invece di minacciare almeno il boicottaggio delle Olimpiadi dopo le dure repressioni dei dimostranti hanno invece deciso di tenere un profilo basso. Talmente basso che l’unica misura proposta concreta è stata quella di non fare presiedere ai rappresentanti istituzionali occidentali le cerimonie di inaugurazioni dei giochi - una presa di posizione che non passerà di certo alla storia. Ma è anche la conseguenza ultima della strategia scelta dall’Occidente per fronteggiare il gigante asiatico. Finita la guerra fredda, la Cina ha deciso che il marxismo era perfetto per assicurare il potere al partito comunista ma non per sviluppare l’economia in maniera tale da reggere il confronto con le potenze occidentali. La dirigenza cinese capitanata da Deng Xiaoping si è perciò inventata un sistema misto – dittatura politica e libertà imprenditoriale. Un ibrido che ha consentito uno sviluppo economico impressionante ma nessuna libertà civile. In Occidente si sono confrontate allora come oggi due corrente di pensiero. La prima ha avvertito nello sviluppo della Cina un pericolo strategico: con la crescita economica la dittatura cinese sarebbe ben presto stata in grado di oscurare qualsiasi potenza Occidentale sia militarmente che economicamente con il suo miliardo e mezzo di abitanti. La seconda ha visto nell’apertura al capitalismo e agli investimenti Occidentali, e nell’ingresso nell’organizzazione mondiale del commercio di Pechino, una grande occasione di sviluppo globale di cui il mercato cinese sarebbe stato il motore.

La democratizzazione? Sarebbe stata quasi una conseguenza necessaria della vittoria del capitalismo. A quasi 20 anni da Tiennamen la prima tesi comincia a essere confermata in maniera preoccupante. La Cina infatti non solo agisce sui mercati internazionali delle materie prime con un’ottica predatoria acquistandole da chiunque gliele venda, comprese dittature e stati canaglia come il Sudan responsabile del genocidio del Darfur, ma sta incrementando progressivamente la sua potenza militare e aggressività. Un passo necessario e legittimo per assicurare al paese in caso di crisi internazionale l’enorme quantità di materie prime di cui ha bisogno per alimentare la propria industria. Ma anche una reale minaccia alla sicurezza e agli interessi dei paesi Occidentali in competizione globale con la Cina per assicurarsi le stesse materie prime.

La seconda tesi invece si è rivelata fallimentare. Lo sviluppo dell’economia cinese e la sua apertura ai capitali stranieri ha sì contribuito allo sviluppo economico globale ma non nei termini in cui era stato immaginato. L’invasione dei mercati di prodotti cinesi a basso costo ha distrutto interi comparti dell’industria manifatturiera non solo Occidentale ma di tutto il globo - compresi i paesi in via di sviluppo in Asia e in Africa. A trarne benefici sono stati solo i paesi esportatori di materie prime (in particolare gas e petrolio) e le grandi multinazionali che hanno delocalizzato le loro produzioni in Cina per meglio competere con le stesse industrie cinesi e vendere sui mercati emergenti a prezzi competitivi. Lasciandosi però alle spalle il deserto nei paesi di origine, dove la perdita di lavoro dovute alle delocalizzazione ha colpito in particolare e duramente le classi medie. Paesi come l’Inghilterra che hanno deciso di rinunciare a un’industria nazionale per concentrarsi sulla fornitura di servizio finanziari a livello globale sono riusciti ad adattarsi. Altri come Francia, Italia, Stati Uniti, stanno vivendo una delle crisi economiche più gravi degli ultimi decenni.

Una via di salvezza però ce l’hanno tutti: sopravvivere fino a che non si crea in Cina una borghesia in grado di acquistare i prodotti Occidentali. Nel frattempo possono e devono adattarsi a quello che passa il convento: vendita di knowhow tecnologico e di prodotti di lusso per i nuovi ricchi cinesi, enormi commesse nel campo dell’industria pesante, delle infrastrutture, nelle telecomunicazione e nei trasporti. Commesse giganti che consentono di rimandare il tracollo delle loro economie ma che creano un’interdipendenza con Pechino che gli lega politicamente le mani. Ecco perché l’occidente vede negati in Tibet i propri valori e non reagisce. E si illude che lo sviluppo economico e il capitalismo possano portare la democrazia anche se è smentito nei fatti dalla storia e dall’attualità – il capitalismo si è infatti sempre adattato perfettamente alle dittature mentre la Russia di oggi è la dimostrazione che autoritarismo e libera impresa possono perfettamente coesistere. L’alternativa è uno scontro tra titani sul piano economico, politico e addirittura militare che nessun governo occidentale oggi crede di poter sostenere. E tanti saluti ai diritti umani...

FONTE WWW.AFFARITALIANI.IT

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