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4.7.06

Fini adotta la linea Casini: «Rinnoviamoci»

I due leader scelgono la stessa strada: prima il proprio partito più forte, poi si vedrà
L’ex vicepremier ha tenuto i suoi all’oscuro di tutto. E pensa all’ingresso di «esterni»
SI SONO sentiti spesso in questi giorni. Anche più volte al giorno. Non si sono ancora incontrati, ma lo faranno presto. Insomma, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando hanno ripreso a parlare la stessa lingua. Ad usare le stesse parole. E soprattutto a solcare gli stessi passi. Al punto che l’ex presidente della Camera, quando ha letto la nota fatta diramare da Fini al termine dell’esecutivo di An giovedì, ha esclamato: «È la linea dell’Udc». E in effetti la svolta di Fini (no al partito unico, ripensiamo An) era stata praticamente annunciata il giorno prima. E non dal solito colonnello. Bensì dal segretario dell’Udc che mercoledì scorso ha detto a chiare lettere qual era per lui la strategia da seguire: «Non credo nè al partito unico nè alla federazione di partiti». E, nell’annunciare che il congresso del suo partito si terrà a febbraio, ha spiegato che sarà all’insegna dell’allargamento. L’Udc in altre parole ha aperto una sorta di campagna acquisti sui moderati in libera uscita soprattutto da Forza Italia. Anche Fini pensa di intraprendere la stessa strada, aprirsi verso l’esterno, fare qualcosa in più di un semplice lifting ad Alleanza nazionale. Ritiene che il suo partito ha finito la sua spinta propulsiva e sia oramai ingabbiato da anni in quel secco 12 per cento. Mentre tutte le società di sondaggi che hanno lavorato con via della Scrofa negli ultimi anni hanno sempre decretato un elettorato potenziale per il partito attorno al 20 per cento. E allora, perché An non cresce? «Perché esiste una distanza eccessiva tra Gianfranco e Alleanza nazionale», spiega un suo fedelissimo che chiede l’anonimato. Una distanza che proprio in questi giorni sembra essere diventato un abisso. Non è più solo una differenza tra i grande generale e i suoi colonnelli. Ma ormai tocca tutto ciò che è attorno a Fini. Per questo il leader di An difende a spada tratta tutti i suoi uomini coinvolti nelle recenti inchieste giudiziarie. Ha difeso Storace. E difende oggi Sottile. Al punto che ritiene sia in corso un vera e propria offensiva dei pm ai danni del secondo partito della coalizione. Ma si rende perfettamente conto che tutto ciò che sta avvenendo sta producendo un danno d’immagine enorme al suo partito. Tutti questi fattori conducono l’ex vicepremier a intraprendere la linea Casini, in due tappe: «Gianfranco, fermiamo il partito unico. Prima rafforziamo i nostri partiti e poi pensiamo al futuro del centrodestra». E su quel rafforzare che il leader centrista ha sfondato le ultime resistenze di un Fini sempre più bisognoso di lanciare verso l’esterno un messaggio di forte rinnovamento. Il capo della destra si è presentato, due giorni fa, così al vertice del suo partito senza aver svelato nessuna carta ai suoi. Visto che la linea sino a quel punto l’aveva discussa più con politici esterni che interni. Non è un caso che per esempio quasi tutti gli esponenti dell’esecutivo del suo parito erano favorevoli all’ipotesi del parito unico. D’accordo Matteoli, d’accordo anche Gasparri e La Russa. E d’accordo persino Storace, che pure non ha mai mancato di usare anche frasi sprezzanti all’indirizzo della formazione unitaria. Fini ha dunque deciso di andare dritto per la sua strada. «Se seguisse i consigli dei suoi colonnelli - sottolinea ancora il finiano doc - il risultato sarebbe una seconda An. Ma Gianfranco vuole fare un’"altra cosa". E non è nemmeno detto che debba essere un partito di destra, magari sarà una formazione di centrodestra». Forse si sta correndo troppo, ma quel che appare certo è che il capo della destra non ha in mente un’operazione di aggiustamento. Ma una rifondazione più profonda che aprirà le porte anche ad energie esterne. Qualcosa già s’era visto in campagna elettorale quando il leader di An presentò la candidatura dell’avvocato Giulia Bongiorno, la quale accettava sottolineando che lo stava facendo per «stima» nei confronti di Fini e non per totale adesione al partito. L’allora ministro degli Esteri si sarebbe voluto spingere oltre. Ma aveva già imposto ai suoi le quote rosa e aveva chiesto di inserire nelle liste alcuni fedelissimi. Avrebbe voluto spingersi oltre e volle essere prudente. Oggi non è più tempo.

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