Fini frena Berlusconi sul «dopo Prodi»
«Aspettiamo che il governo cada sulla Finanziaria». E l’Udc: «Fare ipotesi è tempo sprecato»
ROMA. In questi giorni Gianni Letta ha cercato invano di organizzare un vertice tra Berlusconi, Casini e Fini. Ma il tentativo dell’uomo ombra del Cavaliere si è rivelato un buco nell’acqua a causa dei pessimi rapporti tra l’ex premier e il leader dell’Udc. I due esponenti della Cdl si contendono la leadership del centrodestra e si scavalcano a vicenda nella gestione dei rapporti con l’Unione. Così l’ex premier teorizza grandi coalizioni e governi tecnici in caso di crisi dell’esecutivo Prodi mentre Lorenzo Cesa precisa che discutere di queste ipotesi «è tempo sprecato, un esercizio che all’Udc non interessa». E’ il centrosinistra che deve fare la «prima mossa» e prendere atto di «non essere in grado di governare il Paese». Un invito, comunque, a farla concretamente questa prima mossa. E bene, anzi «benissimo ha fatto Rutelli a invitare Berlusconi alla festa della Margherita», sostiene maliziosamente Casini che infatti aggiunge: «Come si è visto con l’indulto, il bipolarismo non è uno scontro tra cannibali, ma confronto civile tra due idee diverse sul futuro del nostro Paese». Un modo per dire che volere dialogare con la maggioranza non significa essere un «traditore». Calma e gesso, suggerisce Gianfranco Fini ai suoi alleati. Per il presidente di An è inutile lambiccarsi il cervello su cosa deve fare la Cdl. Del resto, l’ex ministro degli Esteri non crede che «ci siano le condizioni politiche e numeriche perché il governo superi la prova della Finanziaria: quella sarà l’ora della verità». E dopo, se Prodi dovesse cadere, sarà possibile un governo tecnico? «Ora credo che si debba consumare la stagione di questo governo, cosa che sta accadendo rapidamente. Dopodiché - ragione Fini - si vedrà ma solo in quel momento sarà giusto affacciare ipotesi». Quello che in questo momento conta, secondo Fini, è che l’opposizione sia compatta, «non dia alcun appiglio al governo e prepari lo scontro sulla Finanziaria forte di un confronto preventivo con le categorie produttive». E già attacca: per difendere la legge sulla droga è pronto a scendere in piazza, e confida che con la Cdl ci saranno anche esponenti del centro-sinistra. E l’indulto? «Un provvedimento che ha salvato i furbetti del quartierino». Al centro delle riflessioni estive, comunque, rimangono sempre la tenuta del governo e il tema dell’allargamento della maggioranza. «Allargamento, non sostituzioni, né tantomeno cambi di maggioranza», precisa il prodiano Franco Monaco. Che invita i compagni della coalizione a non cadere nelle trappola di chi, come ha detto Sandro Bondi a «La Stampa», cerca di «alterare le parole di Bertinotti e Marini e a opporre strumentalmente l’uno all’altro». Si dialoghi sui grandi temi del Paese, dicono Fassino e Rutelli, poi si penserà ad allargare la maggioranza. Ma da Berlusconi ieri è arrivata una frenata dopo la notizia secondo cui il governo si prepara a sostituire il consigliere Rai Petroni in quota centrodestra. Ecco, per Fabrizio Cicchitto l’Unione cerca il dialogo solo a parole. E il portavoce del Cavaliere, Paolo Bonaiuti, spiega che Fassino e Rutelli «aprono al Senato, ovviamente, dove sono forzati ad allungare la maggioranza per non tirare avanti senza i voti dei senatori a vita». «Chiudono invece sulla Rai dove hanno già il presidente e il direttore generale e ora vogliono prendersi anche il consiglio d’amministrazione. Con tanti saluti all’opposizione». A irrigidire le posizioni della Cdl è stata anche l’intervista alla «Stampa» nella quale Oliviero Diliberto ipotizzava di sciogliere il Senato piuttosto che aprire la maggioranza al centrodestra. Un’ipotesi che Fini ha bollato come «una una bizzarria costituzionale»: «Si tratterebbe di una ipotesi che non ha precedenti e che non permetterebbe in alcun modo a Prodi di continuare a governare». Per i leghisti Calderoli e Castelli è «un’emerita schiocchezza, una provocazione dettata dalla disperazione». Francesco Storace la considera «una pistola caricata ad acqua» e Roberto Schifani «una presuntuosa e temeraria intimidazione rivolta all’Unione». L’uscita di Diliberto chiama in causa il Quirinale. Ma il presidente della Repubblica getta acqua sul fuoco e fa sapere che non spetta a lui prendere una decisione del genere: il problema è politico e va affrontato dai protagonisti della politica, senza tirare in ballo il capo dello Stato che valuta la questione dal punto di vista costituzionale. |
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