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24.3.08

Fini:avremo i voti per governare

Gli elettori sceglieranno per dare governabilità al Paese. Dunque la presenza con proprie liste da parte di Storace e Casini non avrà conseguenze pratiche, nemmeno in una regione considerata a rischio come il Lazio. Fini esclude grandi coalizioni, ma sulle riforme sarà possibile il confronto in Parlamento. Parlando delle prossime elezioni di Roma si dice convinto che Rutelli, se si andrà al ballottaggio, perderà.

Presidente, che impressioni ha di questa campagna elettorale?
Non è entrata nella fase decisiva, da martedì i toni saranno più alti. Fino a questo momento si è svolta come previsto: il tentativo di Veltroni di stupire con l’effetto novità, ma i fuochi d’artificio si sono attenuati. Da parte nostra è tutto più semplice perché dobbiamo invitare gli italiani a rispondere a una domanda: «Stavi meglio due anni fa o adesso?». Se l’elettore viene sollecitato da questa domanda, dato che diamo per scontata la risposta, è prevedibile anche il risultato elettorale.

In questa fase si è parlato molto di precari. Esiste veramente un problema giovani, un problema lavoro, un problema casa?

Il problema è reale, c’è un impoverimento del ceto medio. Parliamo dello sbocco occupazionale. Prima di tutto bisogna fotografare la realtà economica. Dobbiamo essere onesti e dire che il contratto a tempo indeterminato nella Pubblica amministrazione è dietro le spalle. Quello a termine è invece nella logica dell’economia europea. Rende l’impresa libera di assumere e risulta l’antidoto al lavoro nero. Adesso uno degli interventi da fare è incentivare l’imprenditore a trasformare il contratto da tempo determinato a indeterminato grazie ai benefici fiscali. Secondo concetto: inserire il principio «più lavoro più guadagno». Questo vuol dire contratti nazionali sempre più snelli e legati alla produttività. Poi capiamo cosa serve a un ragazzo per iniziare a lavorare. Serve una selezione all’interno delle scuole e delle università più rigorosa e un maggior legame tra il momento della formazione e il momento occupazionale. Inoltre a un ragazzo va insegnato un mestiere. Mentre sulla casa, nel programma, c’è il riferimento alla necessità di costruire e mettere sul mercato, a canoni compatibili e con stipendi di chi inizia a lavorare, degli alloggi destinati solo alle giovani coppie.

Fini cosa farà in questa legislatura? Ministro degli Esteri, presidente della Camera, o altro?
L’unica cosa che voglio fare è vincere le elezioni. E poi dar corso al progetto di costruzione del Popolo della Libertà. Perché costruire un partito significa definire le modalità, l’identità, lo statuto e le regole di funzionamento.

Quanto è stato faticoso superare le incomprensioni con Berlusconi? Nel merito è cambiato questo: a San Babila Berlusconi disse: «Io ho fatto il Pdl, voi venite con me». Adesso è diverso: ci chiede di «costruire insieme il Pdl».

E convincere An dell’operazione?

Meno difficile di ciò che può sembrare, perché siamo quelli che hanno promosso il referendum per fare le liste quanto più unitarie possibile. In più, nel ’99, perdemmo un referendum, promosso solo da noi, che avrebbe cancellato il 25 per cento di quota proporzionale. Anche sul Ppe non è difficile spiegare al quadro dirigente o al militante di An che i riferimenti non sono all’Internazionale democristiana. Il Ppe non è né di centro né di destra, ma molto più semplicemente di centrodestra. Siamo nel 2008 e darsi una collocazione politico-geografica è un’operazione vecchia almeno 50 anni.

Se andate a Palazzo Chigi dovrete comunque fare i conti con più anime. Sui temi economici ci sarà un pensiero liberista e un altro che favorisce l’intervento dello Stato. Esiste una sintesi?
Uno dei punti di riferimento culturali del Ppe è l’economia sociale di mercato. Privatizzare, ad esempio, significa mettere sul mercato ciò che è pubblico. La prima domanda a cui bisogna rispondere è: «Ma il mercato è in grado di recepire?». La grande differenza nella vicenda Alitalia tra questa fase e quella che ci vedeva al governo era che a quell’epoca se avessimo messo sul mercato la nostra compagnia di bandiera l’avremmo svenduta perché il mercato era «seduto». Su Alitalia il problema è che ci doveva essere un piano industriale in grado di rilanciare la compagnia ed evitare un bagno di sangue sociale. Un piano industriale che non imponesse un hub solo. La questione non è «oddio la comprano i francesi», ma che Prodi la sta svendendo. Quando si privatizza non bisogna preoccuparsi. E restando in tema, ma sulle liberalizzazioni, abbiamo contestato Bersani perché di fronte a una ideale catena, partiva dagli ultimi anelli. Liberalizzare i servizi in certi settori va bene, ma solo se prima liberalizzi nell’ambito dei servizi di pubblica utilità a livello municipale.

A queste elezioni sarà ancora il Senato a fare la differenza e il Pdl ha perso per strada qualche alleato. Nel Lazio che rischio si corre?

È una regione importante e sono ottimista perché l’elettore non è uno sprovveduto. Conosce il rischio che si corre al Senato con questa legge. Ad esempio gli indecisi decidono come votare dopo essersi informati, e se il tema è anche questo vuol dire che chi ancora non ha scelto sceglierà dandosi come obiettivo quello dell’adesione al partito che più lo soddisfa. Ma anche dandosi come obiettivo quello della governabilità. Anche nel Lazio alla fine ci sarà un consenso per il Pdl molto più alto a danno di Storace, Casini e Rifondazione. Ce la faremo. Fermiamoci un attimo su Casini e la ormai celebre telefonata sua e di Berlusconi. È una di quelle offerte fatte affinché vengano respinte?
Assolutamente no. Sono ancora dispiaciuto dell’esito di quella telefonata. Gianni Letta parlò a Casini a nome mio e di Berlusconi e disse: «Guarda non c’è nulla di definito, prima di dire no parliamone».

Nella campagna elettorale di due anni fa furono abbastanza decisive le candidature di Luxuria o Caruso che hanno spostato l’elettorato cattolico dalla parte del centrodestra. Questa volta l’effetto potrebbe non ripetersi. Gli indecisi come possono convincersi di nuovo a votare Pdl?
Facciamo l’esempio che gli indecisi siano dieci. Due non vanno a votare, due votano per un soggetto terzo, gli altri sei votano per Pd o Pdl. Ma non tutti da una parte, quei voti vengono divisi. Il discorso quindi non mi preoccupa. Del resto il messaggio qualificante dei soggetti minori qual è in questa campagna elettorale?

Vogliamo dire che si è separato con piacere da una certa parte di elettorato di destra?
Certo che no.

Il Pdl è sicuro della vittoria. Ma parlando di voto inutile non mettete a nudo anche qualche timore?
Lo facciamo per un’altra considerazione. Dal ’94 al 2008 l’elettore si è abituato a vedere un centrodestra con Casini. Quindi è bene che Berlusconi si preoccupi e sottolinei il fatto che la configurazione del soggetto politico Pdl è cambiata.

E gli accordi post elettorali? Li farete anche con l’Udc?
Sarà Casini a dover dimostrare coerenza. Lui ha detto che le coalizioni si fanno prima del voto e non dopo. Semmai bisognerebbe discutere di un altro scenario.

Quale? Immaginiamo che il Pdl vinca: il primo provvedimento che presenta è la riduzione di 1 punto di aliquota Irpef. Se al clima calmo di questa campagna elettorale le parti hanno interesse a dare un seguito, voglio vedere Veltroni che di fronte al provvedimento di cui parlo dice «no». E perché? Perché lo presenta il governo che ti ha battuto? Questo non vuol dire che si arrivi alle larghe intese, ma se non vuoi perdere totalmente la faccia devi fare qualcosa.

Sarà possibile?
Non lo so. Quando presenteremo dei provvedimenti che Veltroni ha auspicato per tutta la campagna elettorale, poi voglio vedere se dirà «no». Ad esempio sulla riduzione dei costi della politica. Poniamo che facciamo una manovra e viene coperta con una riduzione di spesa che in qualche modo era prevista anche nel programma del Pd: non sarà facile dire «no». Questo è un fatto nuovo.

È possibile che una presidenza della Camera venga data all’opposizione?
No, mi sento di escluderlo. Mentre auspico che il governo non si intesti il diritto-dovere di fare le riforme. Nel senso che questo compito deve essere dato al Parlamento, con il governo che ha il ruolo di prendere l’iniziativa. Di riforme se ne sono fatte sempre poche e molte per via referendaria a causa di uno scontro muscolare bipolare.

Salvo eccezioni, le amministrazioni reggono almeno per un paio di mandati. In Italia dal ’94 a oggi non è mai accaduto. Perché questa «condanna»?

No, no. La svolta c’è stata dal 2001 al 2006. Lei mi prenda dal ’48 in poi un periodo in cui per 5 anni c’è stato lo stesso premier.

Finirete una legislatura con abbastanza forza per ottenere una riconferma?
Certo. E poi non è che abbiamo perso le elezioni nel 2006, le abbiamo vinte ma in una logica di un meccanismo elettorale ci siamo trovati nella condizione che conosciamo. Ma Veltroni oggi sembra il leader dell’opposizione. Dice «non basta cambiare un governo, bisogna cambiare l’Italia». Certo, ma il governo che bisogna cambiare è il suo.

Politica estera. In questo momento Francia, Germania, Gran Bretagna stanno affrontando delle difficoltà. L’Italia può riprendere il filo dei rapporti, soprattutto con gli Stati Uniti e con la Russia.

È cambiato molto rispetto al 2001. La Ue, per merito di Sarkozy, è uscita dalla situazione di stordimento. Dopo il referendum francese e il ko di quello olandese, la Carta costituzionale è finita nel cassetto. In quella fase era logico che non prevalessero i grandi accordi multilaterali. Nel rapporto con gli Usa credo che l’Italia si fosse conquistata sul campo una patente di credibilità derivante dal fatto che per la prima volta facevamo seguire dei comportamenti a una petizione di principio. E i comportamenti non erano a rischio zero.

Quindi tornando al 2003 lei rimanderebbe i soldati italiani in Iraq?
Sì, senza difficoltà. Noi non partecipammo alla guerra contro Saddam, ma alla ricostruzione. Poi non c’è dubbio che l’errore commesso negli Usa è stato sottovalutare i rischi del dopoguerra. Ma l’Italia oggi si trova in una condizione migliore rispetto a quello che è accaduto a noi nella scorsa legislatura. Nei confronti degli Usa bisognerà riprendere la politica che abbiamo fatto, ma in un ambito sempre più europeo. Perché la differenza è che oggi l’Europa non è più un fantasma.

Possiamo svolgere un ruolo di mediazione tra Stati Uniti e Russia?

L’Italia no, l’Ue sì.

Torniamo in Italia. Questa legislatura si è caratterizzata molto per i costi della politica. Dopo il 14 aprile sarete dall’altra parte del tavolo. Che fare? Partiamo dai ministeri.

Quelli sono dodici, non faremo tabula rasa di ciò che hanno fatto gli altri. Bisognerà definire bene le deleghe perché tra i ministri che scompaiono c’è il ministro della Comunicazioni e della Salute. Più in generale per i costi della politica è naturale partire dal numero dei parlamentari, ma tagliamo anche nei Consigli regionali. Il vero problema è la degenerazione della democrazia nella partitocrazia. In Campania, ad esempio, esistono due Commissioni, una per i problemi del mare e una per i problemi del Mediterraneo (ride). Ma vi risulta che la Campania si affacci sull’Oceano Pacifico? Su queste cose bisogna disboscare. Con il lanciafiamme.

Comprese le Province?

Sì. Certo, per le aree metropolitane, per la Provincia di Roma, ci vuole un trattamento diverso.


E le nomine di Enel, Eni, Finmeccanica?

Ci penserà il nuovo governo, i partiti ne stiano alla larga e dove è necessario si cambi la legge dando semmai più spazio agli ordini professionali e si scelgano persone brave. Però devo dare una stoccata a Montezemolo: quando dice «liste piene di portaborse» dica chi sono perché i rischi che vedo sono proprio in questa generalizzazione in cui si fa di tutta un’erba un fascio.


Su Roma anche stavolta il Pdl ha deciso all’ultimo il candidato. Eppure Rutelli nei sondaggi non risulta imbattibile. Difatti perderà. Perché non vince al primo turno e gli ultimi 15 giorni sono tutta un’altra partita. Il nostro popolo ha mille pregi, ma anche qualche difetto. Uno di questi è che siamo campioni del mondo di salto in corsa sul carro del vincitore. Rutelli non vince al primo turno perché è una minestra riscaldata. Vorrei trovare un romano che ha nostalgia di lui come amministratore. E lui sa benissimo che quello che sto dicendo non è campato per aria, altrimenti non si sarebbe alleato subito con la sinistra radicale. Mi spiegate perché Veltroni va a dire ovunque che non ha fatto l’accordo coi Verdi o i Comunisti, e a Roma il vicepremier leader di punta del Pd fa l’accordo con tutti?

Non l’ha sfiorata l’idea di sfidarlo?

Se le elezioni comunali si fossero svolte fuori da un contesto generale ci si poteva pensare.

Adesso che farà?

Adesso buona Pasqua. Io passerò tre giorni a dormire, leggere e mangiare. Leggere cosa?
Ne ho talmente tanti di libri. Finisco, perché l’ho già cominciato, quello di Angelo Mellone («Cara Bombo, Berlusconi spiegato a mia figlia»). Poi ho un libro da tempo sul comodino che si chiama «Il destino dell’anima»: lo ha scritto un ateo e mi incuriosisce. FONTE WWW.ILTEMPO.IT

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