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27.3.08

«Se fossi ministro? Bloccherei la Ru486»

La valutazione della vita umana è quello che oggi veramente divide l'umanità. L'aborto non è solo una questione che riguarda le donne: non devono essere lasciate sole davanti al dramma dell'aborto. Gli uomini, dopo trent'anni in cui si sono voltati dall'altra parte, devono riprendere in mano la responsabilità di partecipare anche a questa decisione». Ne è convinto Giuliano Ferrara, leader della lista «Aborto no grazie», che ha incontrato in videochat i lettori di Corriere.it. Il direttore del Foglio si dice fiducioso quanto al risultato elettorale («I sondaggi che mi danno allo 0,5%? Sbagliano. Io intercetto voti di passione e impegno civile che non vengono presi in considerazione da chi si occupa di solito di marketing») e rivela di puntare ad ottenere almeno il 4-5% dei consensi e qualcosa come 25-30 deputati. «Mi presento solo alla Camera e quindi quello per la mia lista è un voto di testimonianza - precisa il giornalista -. Poi gli elettori possono scegliere, sulla scheda per il Senato, di votare gli schieramenti tradizionali». Come dire: non sarebbe un voto buttato.

«LEGALE MA NON LEGITTIMO» - Al lettore che gli chiede perché la campagna antiabortista trovi nuovo vigore solo oggi, a trent'anni dall'entrata in vigore della legge 194, Ferrara replica che a quel tempo le nuove norme erano necessarie «per combattere gli aborti clandestini che comportavano forti rischi per la salute delle donne». «Ma che l'aborto sia stato legalizzato - puntualizza - non significa che sia anche legittimo. Oggi nel mondo si corre al ritmo di 50 milioni di aborti all'anno, solo in Italia sono circa 140 mila. E quindi c'è un problema culturale da affrontare. La legalizzazione dell'aborto doveva essere una soluzione all'aborto clandestino, invece è diventata la certificazione di una abitudine a cui si resta indifferenti».

«LA 194 NON SI TOCCA» - Il direttore del Foglio ribadisce poi che non cambierebbe la legge 194, «è una questione che non c'è nei dodici punti del mio programma elettorale». E questo perchè in realtà si tratta di «una legge di compromesso» che «purtroppo è stata applicata e governata in un contesto di cultura e di civilizzazione sempre più degenerato, fino al punto che gli aborti vengono fatti senza che ci sia tutta la parte di prevenzione che doveva rendere dialogato e sociale il processo che porta alla decisione di abortire». Per questo Ferrara non ha remore nel definirla un «abortificio». «Nelle intenzioni di chi l'ha varata non doveva essere questo - dice ancora il giornalista -. Bisogna mantenerla ma applicarla a fondo, per rovesciare come un guanto la realtà attuale».

«LOTTA ALLA RU486» - Ma cosa farebbe Ferrara se diventasse ministro della Sanità, nel caso di un accordo post-elettorale con il Pdl? «Mi batterei contro l'introduzione della pillola Ru486, il prezzemolo moderno. E' pericolosa. Non è possibile assumerla sotto controllo in ospedale e seguire in una struttura sanitaria tutto il percorso che porta all'espulsione del bambino dal corpo della donna. La Ru486 finirebbe dunque co l'essere lo strumento che riporta l'aborto tra le pareti domestiche, colpevolizzando le donne che si ritroverebbero di nuovo sole di fronte ai loro drammi, sapendo che assumerla significa ingerire un veleno che uccide il bambino che portano in grembo. L'aborto facile è una favola. Va combattuto e non facilitato».

«AVREI POTUTO AIUTARE IL PDL» - Il leader del movimento pro-life ribadisce poi che l'«alleanza naturale» per la sua lista sarebbe stata «il centrodestra, il Partito poplare europeo». «Avrei dato un grosso contributo - ha aggiunto -, ma Berlusconi ha detto no perché ama piacere a tutti e quindi non vuole avere una linea già definita sui temi etici». Così l'accordo non è stato fatto. Così come è stata scartata l'ipotesi di un'alleanza con l'Udc «che avrebbe partiticizzato il mio schieramento, sminuendo il valore della battaglia che intendo condurre». Ferrara esclude che la sua corsa per Montecitorio possa creare problemi al Cavaliere, erodendo consensi al Pdl: «Non corro al Senato, dove si gioca la vera partita». «E poi - aggiunge - anche a sinistra c'è attenzione per i valori della tutela della vita». Come a dire che i consensi li potrebbe in realtà sottrarre anche a Veltroni.

FEDE E CONVERSIONI - Interloquendo con i lettori Ferrara spiega di ritenere legittima la scelta di Magdi Allam di convertirsi e farsi battezzare dal Papa nel corso della veglia pasquale trasmessa in diretta televisiva. «La Chiesa ha nella propria natura il fare proseliti e molti dei grandi santi sono stati in realtà dei convertiti - fa notare l'Elefantino -. E' giusto, dunque, che sia stato un evento pubblico. In ogni caso, trattandosi di Magdi Allam questo evento avrebbe fatto clamore anche se a battezzarlo fosse stato un parroco di periferia». Quanto a se stesso, precisa di essere «tanto innamorato del cristianesimo non solo come cultura ma anche come spirito della storica» quanto «incapace di prospettare una mia adesione come fedele alla chiesa cattolica».

LA VITA E LE GUERRE - Non c'è nessuna contraddizione, spiega infine il direttore del Foglio, tra la difesa della vita con la battaglia antiabortista e il sostegno ad alcuni interventi militari, «perché quelle di cui ho riconosciuto la validità sono guerre, contro le dittature, contro il terrorismo o per il ripristino della legalità». Ovvero «guerre contro la cultura della morte», lo stesso spirito che anima la campagna per la moratoria degli aborti.

«RATZINGER MEGLIO DI MARX» - Ferrara si presta anche a qualche deviazione dai temi etici. Dice che metterebbe papa Ratzinger al vertice di una graduatoria che comprendesse anche Marx, Craxi e Berlusconi. Rivendica con orgoglio il suo ruolo di precursore nell'abbandonare l'ideologia comunista («Veltroni e D'Alema lo hanno fatto diversi anni dopo di me»). Non entra nel merito dell'opposizione della Chiesa ai rapporti prematrimoniali, ma cita la protagonista del film Juno secondo cui «prima di riprodursi è meglio innamorarsi». E risponde con divertita ironia a chi gli chiede se gli manchi il ruolo di conduttore di «8 e mezzo», abbandonato con l'inizio della campagna elettorale: «Stare in tv per me è comunque lavorare sulle idee, cosa che sto facendo anche con questo mio nuovo impegno. Se tornerò in video? Dipende. Se dovessi vincere e fare il presidente del Consiglio credo che la cosa mi riuscirebbe alquanto difficile...».

Fonte WWW.CORRIERE.IT

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