LA RICHIESTA di arresto per Raffaele Fitto e per Giampaolo Angelucci mi ha molto colpito.
Si tratta, di due giovani brillanti, intelligenti, di successo. Fitto è un politico emergente, anche se sconfitto alle amministrative dello scorso anno, Angelucci è un imprenditore con molteplici interessi tra i quali sanità ed editoria. È anche un manager trasversale, con buoni rapporti a destra e a sinistra, tanto da aver investito in due giornali, Libero e il Riformista, diversi per impostazione e idee politiche. Perché allora questi due giovani avrebbero dovuto bruciare tutto per la solita mazzetta? 500 mila euro, una cifra con cui a Roma si fatica a comprare casa, certo non un malloppo o una maxi tangente. E allora? Aspettiamo, come si dice in questi casi, il corso della giustizia. Permettetemi però di scrivere ancora una volta questa sacra parola, giustizia, con la minuscola. Non possiamo non constatare che a pochi giorni dal referendum tira di nuovo la solita brutta aria giustizialista. Riusciremo mai a liberarci non solo delle tangenti ma anche di questo terribile sospetto di un'azione della magistratura tesa a sconvolgere sempre e solo una parte politica? Mi spiace dover tornare ancora sul caso Unipol, su Consorte e Sacchetti. Ma è mai possibile che lì ancora dobbiamo chiederci, senza avere risposte, come mai quei due manager rossi non hanno toccato in cinque anni 45 milioni di euro? Anche l'indagine di Potenza lascia strascichi di sospetti e polemiche. Per carità nessuna difesa. Fa davvero specie il modo in cui le donne vengono trattate. In quelle conversazioni c’è un aria davvero mefitica. Però il pubblico ministero di Potenza qualche dubbio lo ingenera, tanto che lo stesso Presidente Napolitano ha chiesto informazioni al Csm. Quanto vorremmo ritrovare presto fiducia piena nell'azione della magistratura. E quanto è comunque giusto denunciare comportamenti in cui la parola etica è scomparsa.
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