: Politica Libera :

Blog QUOTIDIANO dedicato alla Politica ITALIANA.On line da febbraio 2006

29.4.07

Assolto Berlusconi - Partito Unico nella sx estrema

26.4.07

FINI, ORA FEDERAZIONE CON BERLUSCONI LEADER

(Adnkronos) - Ora serve una Federazione di partiti che conservino la loro identita' con Silvio Berlusconi Leader. E' questa, secondo il presidente di An Gianfranco Fini, la risposta che il centrodestra deve dare al nascente Partito democratico all'interno dell'Unione. Ospite questa sera della trasmissione 'Porta a Porta', il leader di via della Scrofa non vuol sentir parlare di partito unico della Cdl perche' ritiene che la "Federazione sia migliore rispetto alla fusione" fatta, per esempio, dai Ds e dalla Margherita per creare un nuovo soggetto politico unitario.Fini auspica che l'Udc e la Lega prendano parte a questa aggregazione di tipo federativo. Ma avverte: "se l'Udc non partecipera' perche' c'e' Berlusconi sara' un errore clamoroso, visto che in questa fase non si deve personalizzare". Se invece, precisa, i centristi non vogliono aderire alla Federazione "per fare un partito alternativo di centro" o di stampo democratico-cristiano, "la loro scelta e' legittima, comprensibile, ma non condivisibile".
Per l'ex ministro degli Esteri del governo Berlusconi, il centrodestra "deve enfatizzare ora piu' cio' che lo unisce rispetto a quello che lo divide". E anche se l'Udc non ci sta, "ha il dovere di provare a fare questa Federazione". Un progetto che non sta a significare che domani ci scioglieremo, altrimenti butteremo alle ortiche le nostre identita'".


FORZA SILVIO FORZA GIANFRANCO........ANDATE AVANTI CON QUESTO PROGETTO !!!!!

FOLLINI ANDRA' NEL PD

L'ex segretario dell'Udc Marco Follini sarebbe intenzionato ad aderire al Partito democratico (Pd) dopo le elezioni amministrative del 27-28 maggio ed eventuali ballottaggi il 10-11 giugno. È l'indiscrezione che uscirà sul numero di venerdì del settimanale «L'Espresso».

«Entro o non entro? Me lo chiedono in tanti. La risposta è sì, entro, ma dopo le amministrative». dice Follini sull'Espresso. «Sarà della partita, al momento opportuno entrerà anche lui nel Pd, abbandonando progetti di terzi poli, rassemblement centristi e partitini post-dc con Mastella», scrive il settimanale, «prima, però, c'è da superare la tornata delle elezioni amministrative di maggio, in cui corre con le sue liste Italia di mezzo, la piccola formazione centrista fondata dopo l'uscita dall'Udc. Le speranze sono su Palermo, dove si candida il segretario regionale dell'Anci Andrea Piraino, poi, Follini potrà annunciare ufficialmente il suo ingresso nel Pd».
VIRGOLETTATI NON VERI - «I virgolettati attribuiti al senatore Follini sul prossimo numero dell'Espresso non corrispondono a verità». Lo afferma una nota del portavoce di Follini, Domenico Barbuto. «Il senatore Follini, assieme a tutto il movimento politico Italia di mezzo, è impegnato, in questa fase, esclusivamente sul fronte delle elezioni amministrative».

FONTE WWW.CORRIERE.IT

VEROGNA VERGOGNA !!!!! E PENSARE CHE COL GOVERNO BERLUSCONI HA FATTO PURE IL VICE-PREMIER !!!!

BEL RINGRAZIAMENTO ---- INGRATO E TRADITORE.....SE TI SCHIERAVI CON L'UNIONE ALLE POLITICHE DEL 2006 NON AVRESTI AVUTO NULLA !!!!

VERGOGNATI FOLLINI !
DA BUON DEMOCRISTIANO NON TI SEI SMENTITO

25.4.07

Mantovano (AN): saremo l'approdo di tutti i clandestini

«Con la legge Amato-Ferrero l’Italia diventerà il luogo di approdo di tutti i clandestini. Soprattutto ora che altri paesi europei, la Francia, la Gran Bretagna e anche la Spagna di Zapatero, fanno scelte di rigore».
L’ex sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano di Alleanza nazionale, ricorda al governo Prodi che la politica «non è un fatto nazionale». Il disegno di legge di riforma della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, firmato dai ministri Giuliano Amato, Interno, e Paolo Ferrero, Solidarietà sociale, e appena varato dal Consiglio dei ministri rischia una sonora bocciatura da parte di Bruxelles.
Senatore Mantovano, il ministro Amato sostiene la necessità di riformare la Bossi-Fini perchè proprio i meccanismi di questa legge avrebbero provocato un aumento dell’immigrazione clandestina.
«La Bossi-Fini non è certamente la Costituzione e dunque concordo sulla necessità di rivederla in alcuni suoi punti. Ma non è stata un fallimento. Ricordo ad Amato la situazione di emergenza nella quale si trovava il paese rispetto al fenomeno dell’immigrazione. Situazione che grazie alla Bossi-Fini ha trovato una rapida soluzione: regolarizzazione ed emersione dal lavoro nero di 650.000 clandestini; azzeramento degli sbarchi in Puglia e in Calabria e naturalmente effettività delle espulsioni. Superata l’emergenza si poteva passare ad una seconda fase che però col governo Prodi non è mai arrivata. Il paese è ripiombato nell’emergenza. Prima di criticare Amato si ricordi delle file davanti alle questure provocate da un decreto flussi mal gestito».
Come valuta il ddl Amato-Ferrero?
«Prima ancora del merito critico il metodo. La Bossi-Fini seguì un iter parlamentare conflittuale ma ci fu il tempo ed il modo di valutarla ampiamente da parte delle Camere. La Amato-Ferrero invece si presenta come una legge delega che può essere stravolta con i decreti delegati. Oltretutto Amato cerca di far passare come novità principi già contenuti nella legge del centrodestra». Ovvero? «Gli ingressi privilegiati, l’apertura ai lavoratori qualificati fuori dalle quote, sono previsti e definiti da una serie di norme già nella Bossi-Fini. La programmazione triennale dei flussi pure era già prevista, fermo restando che i decreti devono essere annuali perchè certo non possiamo avere certezze sui flussi fino al 2010». Il ritorno dello sponsor però è una novità: quando eravate al governo lo avevate abolito. «Infatti era meglio che non ci fosse. Che cosa succederà con lo sponsor? Si istituzionalizzerà l’illecito. Un esempio? Il piccolo imprenditore, magari un autorevole cinese, fa da garante per i suoi connazionali, paga loro il viaggio fino in Italia e poi li sfrutta per ripianare il debito che hanno nei suoi confronti. È un meccanismo che troppo facilmente si presta al ricatto e alla strumentalizzazione. In sostanza si arriva all’arbitrio dei singoli immigrati che decideranno chi far venire e chi no». Anche lo smantellamento di alcuni centri di trattenimento e la trasformazione di altri in centri di accoglienza è una novità. «Su questo fronte, quello delle espulsioni, Amato racconta delle favole. Si parla di rimpatrio volontario. Ma qualcuno può veramente credere che uno straniero dopo aver pagato 5000 euro e aver affrontato un viaggio in cui spesso si rischia la morte sia disposto a tornarsene a casa “volontariamente”? Mi chiedo davvero come faranno ad espellere qualcuno. Voglio ricordare ad Amato che i centri di permanenza e trattenimento, i cosiddetti Cpt, sono stati istituiti con la legge Turco-Napolitano. Il centrosinistra ha la memoria troppo corta». Che farete? L’ex ministro Giulio Tremonti minaccia già un referendum abrogativo. «Se questo testo diventerà legge si adotteranno tutte le misure necessarie per fermarlo. Intanto dovrà superare lo scoglio del Parlamento dove sono certo che anche la parte moderata dell’Unione avrà parecchio da ridire sul ddl».

Per entrare in Italia basterà pagare

fonte www.ilgiornale.it

23.4.07

Berlusconi: sogno il Partito della Libertà

Da sempre sono in viaggio verso l'unita' del centrodestra. Il mio e' un sogno che coltivo da lungo tempo, e' quello che so presente in moltissimi elettori al di la' di quelli di Forza Italia''. Lo ha detto Silvio Berlusconi, a margine del Salone del Mobile, parlando delle conseguenze per il centrodestra dopo i congressi di Ds e Margherita che hanno aperto la fase costituente per il Partito democratico.
''Per il centrodestra - ha spiegato Berlusconi - il salto
intermedio puo' essere la Federazione della liberta'. Questo e' il riflesso della decisione che hanno preso i due partiti della sinistra che io chiamo ideologicamente smemorata''.
Berlusconi, dopo aver ribadito che il processo del Partito democratico puo' portare conseguenze nella Casa delle liberta', ha precisato: ''Spero ci sia un riflesso politico anche per noi anche se, francamente, prima delle elezioni erano tutti d'accordo sul Partito della liberta', poi qualcuno ha cambiato idea''.Berlusconi, infine, ha fatto gli auguri ''di cuore'' al Partito democratico e ha sottolineato quello che lui giudica un errore: ''E' mancata la critica al passato e il riconoscimento degli errori''. (ANSA).

La svolta -- il popolo rosso accettò il Cavaliere


L'inutile servizio d'ordine organizzato dalla Quercia. La paura di Castelli: un listone con lui e D'Alema

Tra «Romeo» D'Alema e «Giulietta » Berlusconi è tornato il sereno. Ricordate cosa disse Emilio Fede, devoto al Cavaliere ma amico del ministro degli Esteri, descrivendo il loro rapporto nella scia delle guerre fra Montecchi e Capuleti? Disse: «Loro in realtà si piacciono. Solo che le famiglie non vogliono».

Cosa ne pensi la famiglia di destra, si vedrà. Ma cosa ne pensi la famiglia di sinistra, o almeno la sua parte più larga, lo abbiamo già visto a Firenze e a Roma. Dove per la prima volta dopo molti anni il leader di Forza Italia non solo non ha preso fischi, ma ha incassato addirittura qualche applauso. Di cortesia, ma applauso. Non che gli organizzatori della Quercia dessero la cosa per scontata: anni di scontri furibondi e di reciproche accuse di alimentare l'odio, qualche segno l'hanno lasciato. Basti ricordare certe manifestazioni a San Giovanni o al Palavobis milanese o più indietro il congresso diessino del Lingotto. Quando Walter Veltroni, per tentare di accendere il cuore dei delegati, tirò in ballo Jan Palach e Patrice Lumumba, i boat people e Piero Gobetti, i fratelli Cervi e la sedia elettrica, Otis Redding e don Milani, ma riuscì a scuotere il «grande popolo rosso» solo quando sventagliò una mitragliata di invettive contro di lui, il Cavaliere. Meglio non rischiare, si erano detti a Firenze.

E avevano schierato come servizio d'ordine una quindicina di portuali di Livorno. Gente che, come gli scaricatori del Volga descritti da Joseph Roth, può spaccare una noce nella morsa tra il mignolo e l'anulare. Precauzioni inutili. Neppure un fischio. Rispetto. Sorrisi. Pubblici riconoscimenti dal palco. Di là il vicepremier diessino che ringraziava Sua Emittenza d'essere venuto e lo citava ad esempio della bontà dell'iniziativa dato che «l'uomo ha una straordinaria percezione di quello che si muove nel profondo del nostro Paese». Di qua il vicepremier margheritino gli rendeva merito non solo di aver lui pure contribuito, sia pure «nell'ultima fase», alla ripresa dell'economia ma di avere «un temperamento di battaglia, nell'esercizio della sua leadership». Tutte novità ricambiate da Berlusconi con parole concilianti che non si sentivano da tempo. Con tanto di auguri al Partito democratico e l'umiltà, non facilissima per uno come lui, di dare atto alla Quercia e alla Margherita di essersi mossi per primi nella direzione giusta: «Dobbiamo farlo anche noi». Sia chiaro: questa novella buona creanza dopo un diluvio di insulti (uno per tutti, la reciproca accusa d'essere «come Goebbels!») non è una novità assoluta. Il fondatore di Forza Italia arrivò addirittura a parlare dal palco, al congresso pidiessino del luglio 1995. «Basta con la demonizzazione dell'avversario», disse Baffin di Ferro, allora segretario del partito, «basta con la cultura del nemico, dobbiamo diventare un Paese normale. Con il Polo ci vuole rispetto e dialogo sulle regole». Lui ricambiò. «Come si sente nella tana del lupo?», gli chiesero all'arrivo. «Benissimo», rispose. E al microfono, approfittandone per sparare qualche bordata contro i giudici e Prodi, spiegò che «il dialogo tra le due coalizioni è il benvenuto».

E a sancire la solennità di una giornata in qualche modo epocale arrivò perfino un comunicato congiunto, firmato dall'ufficio stampa azzurro e da quello dalemiano. Dove si stigmatizzava la goliardata di un buontempone che, mentre il capo forzista stava per cominciare il suo intervento, aveva diffuso un falso testo del discorso. Il cui incipit, tanto più a rileggerlo oggi, era strepitoso: «Cari comunisti!». Sarebbe stato troppo. Anche per uno come il Cavaliere che giura, da anni, che lui non ama la polemica: «Io mi faccio concavo e convesso, ma cerco di non litigare». In realtà l'odio per i «comunisti», categoria del Male nella quale arrivò a classificare (variante catto-comunista) perfino Rosy Bindi, è così viscerale da fargli confessare che la scelta di scendere in campo, dettata dalla convinzione che Martinazzoli e Segni si sarebbero fatti travolgere, dipese da una visione terrificante: «Mi decisi una sera. In televisione c'era D'Alema, i suoi baffi tremavano per una specie di sconcia allegria». Eppure proprio con l'attuale ministro degli Esteri, come dicevamo, i rapporti sono stati spesso non buoni ma ottimi. Non all'inizio, s'intende. L'allora vice di Achille Occhetto sbuffava: «Berlusconi? È una via di mezzo tra Marinho, il padrone della tv Globo brasiliana, e Giancarlo Cito». «I comunisti alla D'Alema stanno preparando la guerra totale. Hanno individuato quello che Lenin chiamava il nemico principale. E come Lenin ha loro insegnato, non mi trattano da avversario. Ma da nemico da distruggere, nell'immagine, nell'azione e probabilmente anche fisicamente». E via così. Una botta da una parte: «Non si tratta con questi farabutti. Io dico: Berlusconi è un farabutto». Una dall' altra: «Non credo che gli italiani vogliano farsi dominare da un regime governato da un funzionario di partito che ha fatto la scuola delle Frattocchie, non si è laureato, ha lanciato Molotov ed è andato a Mosca 33 volte». Eppure, a un certo punto, tra i due scoppiò qualcosa di più che un flirt.

Fu a cavallo della decisione di destra e sinistra di tentare un accordo nella Bicamerale. Tempi di moine. «Umanamente il capo del Polo è proprio simpatico», diceva uno. «Caro D'Alema, tutti gli italiani debbono guardare alla sua politica con estremo favore», ricambiava l'altro. «In Berlusconi vedo la buona volontà». «Caro Massimo, per fortuna che c'è lei. Con lei si può parlare». Di più, aggiunse il Cavaliere: «Io quando entro lì, in Bicamerale, sento una vocina che mi chiama papà. Mi sento veramente un padre costituente». Gianpaolo Pansa racconta che una notte ebbe un incubo. E inventò i "Dalemoni", impasti geneticamente modificati coi difetti di D'Alema e Berlusconi insieme. Figli non di un accordo: di un inciucio. Come sia finita si sa. In una rottura e un decennio di scontri omicidi. Con Berlusconi che tuonava un giorno sì e l'altro pure: «Noi siamo dalla parte dell' amore, gli altri dell'odio». A cosa porterà questa nuova primavera tra le famiglie dei Montecchi e dei Capuleti? Si vedrà. Ma certo da un confronto dai toni più civili abbiamo tutti da guadagnare. Quasi tutti. Clemente Mastella e Gianfranco Rotondi e tutti i leader dei partitini più piccoli, infatti, hanno avvertito subito, per loro, odore di bruciato. E dieci anni dopo Pansa l'incubo dice di averlo avuto Roberto Castelli: «Vorrei divertirmi a fare fantapolitica, ma nemmeno troppo "fanta"». E ha immaginato «che possa nascere un "Listone dei volenterosi" con D'Alema e Berlusconi che si presentano insieme in tv, raccolgono il 60% dei voti e governano per vent'anni...». Oh, mamma...

FONTE CORRIERE DELLA SERA - www.corriere.it

17.4.07

Ora lo dice anche Cofferati....i poveri pagano più tasse !!!

La beffa per centinaia di migliaia di contribuenti è arrivata assieme ai moduli Cud per la dichiarazione dei redditi. In 149 Comuni in tutta Italia, tra cui 14 capoluoghi di Provincia, pensionati, lavoratori dipendenti e autonomi part-time o precari con redditi inferiori a 12mila euro, si sono visti applicare ingiustamente, sul salario o sulla pensione, la trattenuta a titolo di acconto (il 30% del totale) per le addizionali Irpef. E questo anche se avevano diritto all'esenzione totale come avevano stabilito i Comuni di residenza. Una doppia beffa, tra l'altro, e una doppia bastonatura per i contribuenti meno abbienti, perché in tutte queste città le amministrazioni avevano approfittato della possibilità di aumentare l'addizionale comunale prevista dalla Finanziaria. Il fatto è che il ministero dell'Economia ha sì calcolato l'aumento previsto ma non l'innalzamento della fascia di esenzione decisa dai Comuni e concordata con i sindacati.L'allarme è partito ieri da Bologna, dove il Comune, insieme a Cgil, Cisl e Uil, ha denunciato l'errore dopo essere stato subissato dalle proteste degli esentati. Centinaia di persone si sono presentate ai sindacati chiedendo spiegazioni e molti hanno stracciato la tessera inferociti.
Il problema, denuncia l'amministrazione guidata dal sindaco Sergio Cofferati, che lo scorso inverno aveva duramente criticato la Finanziaria lacrime e sangue del governo Prodi (e a novembre, si è saputo proprio ieri, avrà un figlio dalla compagna Raffaella Rocca), è a Roma dove l'Agenzia delle Entrate, con una circolare di metà marzo - ma i Cud erano già in partenza -, aveva imposto la presentazione di una auto-dichiarazione per gli esentati. Che nessuno, però, ha fatto perché nessuno ne sapeva nulla, spiegano i sindacati.
Solo a Bologna la questione riguarda oltre 70mila persone per un gettito di 2 milioni e 800mila euro. Numeri che si moltiplicano in modo preoccupante se si considera che fra i Comuni coinvolti ci sono città come Torino, Padova, Siena, Pescara, Perugia, Novara, La Spezia e molti altri capoluoghi. In tutto, appunto, si tratta di 149 città, molte delle quali nelle regioni rosse Emilia-Romagna e Toscana, che avevano approfittato di quanto stabilito dal comma 142 della legge Finanziaria: aumento dell'Irpef e contestuale innalzamento della no tax area fino a 12mila euro di reddito rispetto agli 8mila stabiliti a livello nazionale (7.500 per i pensionati).
«Il problema - ha spiegato l'assessore al Bilancio del Comune di Bologna, Paola Bottoni - è che non c'è stato il giusto raccordo normativo con la Finanziaria». «Un meccanismo troppo complesso» denunciano i sindacati, anche perché, come ha sottolineato Bottoni, «queste norme sono state inserite nell'ultimo minuto dell'ultima seduta della commissione Bilancio al Senato poco prima del voto di fiducia sulla Finanziaria». «E il federalismo fiscale fatto così - avverte - non funziona». Un vero e proprio pasticcio, insomma, pensato per accontentare tutti ma a cui ora Enti locali e sindacati chiedono di porre rimedio. Per questo i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil, Marigia Maulucci, Pier Paolo Baretta e Guglielmo Loy, hanno scritto al ministro delle Finanze Vincenzo Visco e al presidente dell'Anci, Leonardo Domenici, e hanno chiesto un incontro urgente: «Servono modalità più snelle e meno onerose per i cittadini che hanno diritto all'esenzione, evitando che siano questi ultimi a chiedere al proprio sostituto di imposta di essere esentati, al contrario di ciò che recita la circolare del 16 marzo del ministero dell'Economia e delle Finanze». I confederali chiedono al ministro di trovare il modo per far riavere i soldi già pagati a chi aveva diritto all'esenzione e di evitare che l'anno prossimo si riproponga lo stesso problema. Difficile, infatti, che siano i Comuni di loro spontanea iniziativa a restituire il prezioso maltolto. È tutto da capire, però, come e quando verranno rimborsati quanti hanno versato l'acconto non dovuto.

Tratto da www.ilgiornale.it

15.4.07

Sui media è Berlusconi day..e Casini corre ai ripari

«Questo è un congresso vero, che discute e che anima». Il giorno dopo la calorosa accoglienza a Silvio Berlusconi, Pier Ferdinando Casini sceglie la strada della prudenza. E pubblicamente dispensa sorrisi e tranquillità perché «tutto è andato come previsto». In verità, chi ha occasione di parlargli a quattro occhi, non riesce a ignorare un certo fastidio da parte del leader dell’Udc per come i media raccontano la prima giornata congressuale. Con la relazione di Lorenzo Cesa finita un po’ in secondo piano rispetto agli applausi incassati dal Cavaliere. D’altra parte, quasi tutti i quotidiani titolano sull’«ovazione» all’ex premier. A partire da Repubblica (che dedica al leader di Forza Italia un’intera pagina) e Corriere della Sera (che dà spazio a un approfondimento su «Silvio che ruba la scena a Pier»), finanche al Messaggero.
Insomma, a guardare i tg e a sfogliare i giornali, pare proprio che l’apertura del congresso dell’Udc si sia trasformata in una sorta di Berlusconi-day. O, per usare le parole di Rocco Buttiglione, «sembra che il partito abbia calato le braghe e che sia lui il leader». Il tutto, anche grazie al Cavaliere che nel lasciare la Nuova fiera di Roma ha dispensato venti e passa minuti di dichiarazioni ai cronisti che lo circondavano, sapendo bene che così facendo avrebbe quasi certamente «rubato» la scena.
Così, mentre l’ex premier s’invola per San Pietroburgo per un weekend nelle dacie del palazzo di Costantino a Strelna in compagnia di Vladimir Putin, Casini si trova alle prese con un congresso che rischia di «berlusconizzarsi». Per questo, con la consueta abilità, il leader dell’Udc passa subito ai ripari. E nella seconda giornata dedicata agli interventi dei delegati, con i riflettori che rischiano di soffermarsi troppo su Carlo Giovanardi (candidato alla segretaria in alternativa a Cesa e deciso sostenitore della linea del Cavaliere), sono Buttiglione prima e Cesa poi a riportare la barra al centro. Il primo a dire che «Berlusconi è un grande amico ma è il passato», il secondo a ripetere che «le opposizioni restano due». Insomma, il messaggio è chiaro. «Era naturale», spiega il segretario centrista, che l’ex premier «avesse i nostri applausi». E poi, ci tiene ad aggiungere, al Cavaliere «lo avevo preannunciato perché era un po’ preoccupato... ». Oggi la palla passerà a Casini. Che, fa sapere il suo entourage, farà «un intervento sulla falsa riga di Cesa». Insomma, nessuna apertura all’Unione ma anche una netta presa di distanze dall’opposizione «populista». Come vuole la vecchia scuola dc, però, sarà soprattutto una questione di toni e sfumature.

fonte www.ilgiornale.it

11.4.07

Mastella:se si va la referendum si va con la CDL

Clemente Mastella conferma l'intenzione di aprire la crisi di governo nel caso si arrivasse al referendum. Per il leader dell'Udeur la consultazione popolare determinerebbe una legge «erodiade», fatta per «ammazzare i partiti» piccoli. E allora, spiega, «siccome sono per la vita e sono contrario agli omicidi, in quel caso toglieremo il disturbo e passeremo dall'altra parte». La battaglia referendaria è un attacco «indecente» ai piccoli partiti, e allora «non credo di aver detto nulla di stravagante o di eretico» parlando di crisi di governo. Se si arrivasse al referendum, spiega il guardasigilli facendo riferimento agli esponenti della maggioranza presenti nei comitati, dovremo «prendere atto che le fregature arrivano dagli amici che pensano ai loro interessi. In quel caso si chiuderebbe una stagione», ammonisce Mastella.

Anche la Lega guarda con ostilità al referendum «Se si arrivasse al referendum, la Lega non entrerebbe nel listone che si pretende di creare. Noi andremmo da soli e a quel punto sarebbe la fine della Cdl». Lo afferma Roberto Maroni, capogruppo Lega Nord a Montecitorio, ribadendo il suo scetticismo sulla possibilità di scongiurare tale prospettiva. «Sono pessimista. Ci sono troppe spinte per andare alle urne temo che si arriverà al referendum e questo - ha aggiunto - sarebbe un danno per tutti non solo per la Lega. Mi pare, però, che ormai sia molto difficile evitarlo». Maroni, infine, non crede agli ultimatum di Clemente Mastella che ha parlato di crisi di governo nel caso in cui si tenga il referendum. «Mastella è uso fare minacce di questo tipo che poi rientrano quando riesce ad ottenere qualcosa sul piano politico».

I piccoli partiti tentano di fare gruppo In mattinata il leghista Roberto Calderoli ha riunito per la quarta volta i piccoli partiti dei due schieramenti per presentare ufficialmente il progetto di legge che si richiama al Tatarellum in vigore per le Regionali. Domani il premier Prodi e il ministro per le Riforme Chiti ultimeranno le consultazioni, incontrando Rosa nel pugno, Italia dei valori, Rifondazione comunista e Ulivo. Intanto sulla possibile intesa per la riforma si addensano le nubi temporalesche del referendum per il quale il 24 aprile comincerà la raccolta delle firme. Ed è subito polemica. Il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, definisce il referendum "la cosa peggiore. Ridurebbe un Paese molto articolato a due soli schieramenti in cui la maggior parte dei cittadini non si riconoscerebbe".

Fonte www.ilgiornale.it

Emergency lascia l' Afganistan

9.4.07

Berlusconi: stop alle polemiche

Cdl all'attacco, il Cavaliere frena: «Il buon nome dell'Italia viene prima di tutto». Palazzo Chigi plaude: «Finalmente corretto il tiro».

«Il prestigio e il buon nome dell'Italia vengono prima di ogni polemica politica e che perciò vicende come questa vanno trattate con senso di responsabilità e massima coesione». Silvio Berlusconi non si unisce al coro di critiche che dalla Cdl si levano contro il governo. Abbastanza per incassare il plauso di Palazzo Chigi che commenta con soddisfazione il richiamo dell'ex premier. «Finalmente, erano due giorni che chiedevamo di correggere il tiro» riferisce una fonte governativa aggiungendo come in nessun altro paese «qualcuno si è permesso di speculare sui sequestri». «Evidentemente anche Berlusconi finalmente ha colto questa esigenza» spiegano dallo staff prodiano. CALDEROLI PER L'IMPEACHMENT - Il resto del centrodestra non intende comunque dare tregua a Prodi sulle modalità di gestione dei rapimenti di cittadini italiani in teatri di guerra. Le parole del leghista Roberto Calderoli danno l'idea dell'alta tensione politica seguita all'uccisione dell'interprete dell'inviato di Repubblica e al duro attacco del fondatore di Emergency allo stesso Prodi e al presidente afghano Karzai. «Prodi - dice Calderoli - ha condotto la trattativa come se ci fossero ostaggi di serie A, cioè quelli vicini alla sua parte politica, e ostaggi di serie B, ovvero i due poveracci che sono stati ammazzati. Il bilancio dell' operazione è tremendo: due morti e cinque terroristi liberati e in circolazione. Ce n'è abbastanza per mettere in stato d'accusa Prodi e per fare subito la Commissione d'inchiesta».
CDL ALL'ATTACCO - Anche Forza Italia e An puntano il dito contro il governo. «Adesso capiamo che non è stata fatta neanche una trattativa globale, ma una trattativa a tranche, evidentemente contrassegnata da criteri classisti e razzisti - è il commento di Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore degli Azzurri - La credibilità italiana è a livello zero». «Chi ha trattato con gli assassini e ne ha favorito l'azione criminale non può accusare noi di sciacallaggio - sottolinea Maurizio Gasparri, di An -. Sono loro che hanno offerto vite umane con cinismo razzista. Un governo simile è un onta per l'Italia e una vergogna nel mondo». «Gli attacchi più duri al governo Prodi non provengono certo da centrodestra - fa poi notare il portavoce dell'Udc, Francesco Pionati - , ma da Gino Strada. Strada dice la verità e dimostra coi fatti di cui è stato protagonista diretto che il governo italiano ha avuto ed ha un comportamento immorale. Ci chiediamo d'ora in avanti chi potrà fidarsi di Prodi e D'Alema».

L'UNIONE: CINISMO POLITICO - Dal canto suo l'Unione fa quadrato, difende l'operato del governo e accusa la Cdl di fare «sciacallaggio politico». Il Verde Paolo Cento spiega che l'atteggiamento del centrodestra «è del tutto strumentale. Il governo si è attivato per liberare sia Mastrogiacomo sia l'interprete. Purtroppo sull'interprete qualcosa non ha funzionato. C'è stato un irrigidimento da parte dei talebani». Per Mauro Fabris (Udeur) «la Cdl continua la ricerca della spallata al governo e strumentalizza in modo vergognoso la morte dell'interprete di Mastrogiacomo» e aggiunge: «Se noi usassimo lo stesso criterio, ora dovremmo chiedere alla Cdl di chiarire i tanti lati ancora oscuri delle liberazioni» avvenute mentre il centrodestra era al governo «a cominciare da come fu possibile l'uccisione di Calipari».
«BASTA RETICENZE» - Ma dubbi e perplessità si affacciano anche in ambienti della maggioranza. Su Gino Strada, che ha attaccato Prodi e Karzai di essere «responsabili» della «carcerazione immotivata» del mediatore di Emergency, parole dure da parte di Emma Bonino: «Penso che abbia un atteggiamento così ambiguo, tra l'umanitario e il politico, che si può prestare a qualunque illazione». Strada ha poi precisato di non aver «mai detto che Prodi e Karzai siano responsabili della morte di Adjmal».

Fonte WWW.CORRIERE.IT

7.4.07

Televisione e Politica

Mercoledì 11 aprile 2007, alle ore 12:00, presso la Sala Stampa di Montecitorio a Roma, in Via della Missione 4, si terrà la conferenza stampa per la presentazione del quindicesimo manuale di conversazione politica (che sarà nelle edicole dal 12 aprile) scritto da Davide Giacalone, edito da Libero-Free e curato da Vittorio Feltri e Renato Brunetta, dal titolo: “Televisione & Politica: 30 anni d’ipocrisie e 4 referendum dimenticati mentre il mercato produceva ricchezza e libertà. La storia politica della televisione come nessuno l’ha mai raccontata”. Conflitto d’interessi e strapotere mediatico, ecco i due ingredienti con i quali si condisce ogni discorso sulla nuova legge tv. Ma se provassimo a porci qualche domanda e ad immaginare risposte un po’ meno scontate e conformiste? Perché, ad esempio, quando qualcuno chiede maggiore pluralismo si sente anche in dovere di proporre la chiusura di qualche televisione? Perché la sinistra di governo agì in modo che lo Stato non avesse alcun ruolo nelle telecomunicazioni, dove si privatizzava un monopolio, ed invece pretende che ci sia sempre, e sia sempre la più forte e ricca, una televisione di Stato in un mercato già aperto alla concorrenza? Perché gli italiani hanno votato quattro referendum sulla televisione e la politica ne ignora i risultati dimenticandoli? E ancora: perché si dice che le leggi sono sempre al servizio di Berlusconi, quando fu il quotidiano “la Repubblica” a ringraziare per la legge Mammì? Perché si ricorda il decreto Craxi che fece riaprire le televisioni di Fininvest, ma si fa finta di non sapere che con quello stesso decreto si consegnò la Rai a Biagio Agnes, gran ciambellano dell’accordo fra democristiani e comunisti? E perché si dice che il problema sono le frequenze, quando, in realtà, c’è spazio sia per il terzo che per il quarto polo televisivi? Non sarà che sono state raccontate un sacco di balle? Leggere per sapere.

Fonte www.forzaitalia.it

4.4.07

Flop del PD prima ancora della nascita ?

Partito democratico
Sei sondaggisti ad Affari: è in calo, vale meno delle Politiche. Sotto il 30%. Sfida Veltroni-Fassino per la leadership...


Terremoto nell'Ulivo per il sondaggio condatto da Ipr Marketing che assegna al futuro partito democratico un misero 25%, il 6,3% in meno rispetto a quanto ottenuto dalla lista unitaria Ds-Margherita alle Politiche dell'anno scorso (31,3%). Questo dato "mi preoccupa. Ma non sta scritto da nessuna parte - osserva Arturo Parisi - che resti al 25%. Lavoreremo perché questo non accada". Per il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, il sondaggio "mette in luce problemi di consenso per la maggioranza e per noi del governo prima ancora che sulle chance future del partito democratico". _____>>>>

Parisi: sembriamo conservatori - Repubblica

Fassino: basta sermoni è ingiusto, chiedo rispetto - Repubblica


Giornata POLITICA del 4 aprile 2007

3.4.07

Fini: CDL viva anche senza l' UdC


Segue l'intervista del Presidente Fini rilasciata al quotidiano Il Giornale

Presidente Fini, oggi è andato in scena il primo vertice dopo la rottura con l’Udc sull’Afghanistan. Vi sentite orfani di Casini o sono partite le prove tecniche per una nuova alleanza del centrodestra?
«Innanzitutto c’è la viva soddisfazione per il clima che si è stabilito e per i risultati raggiunti. A dimostrazione del fatto che sono gli altri che devono confrontarsi e fare i conti con noi. In politica non c’è niente di peggio che attendere perché si rischia di aspettare invano. Invece la Casa delle libertà ha dimostrato di essere viva e vegeta. Chi attende la nostra caduta, rischia di aspettare invano».
Quali sono i risultati del vertice?
«L’impegno per una legge elettorale che garantisca il bipolarismo e la governabilità. C’è stata una larghissima convergenza sulla proposta Calderoli di mutuare sostanzialmente il modello delle Regionali, con un barrage, un listino nazionale e l’indicazione del candidato premier».
Su quale percentuale pensate di attestarvi?
«Si discute del 3% ma Pri e Nuova Dc la vorrebbero più bassa».
Lei ha annunciato che resta aperta la via referendaria se non si arriverà a un accordo. Come ha fatto a far digerire alla Lega questa opzione?
«È evidente a tutti che il rischio di una lunga discussione con tempi indefiniti è dietro l’angolo. E noi non siamo disponibili ad accettare questo rischio».
E quindi agitate lo spettro del referendum per rompere la melina del governo.
«Esattamente. Anche la Lega ha convenuto sul fatto che si tratta di un incentivo a non perdere tempo. Ho spiegato a Bossi le mie ragioni e lui le ha capite dimostrando di essere un politico di prim’ordine. Peraltro l’ho trovato molto meglio rispetto al 2 dicembre. E umanamente mi ha fatto immensamente piacere».
Il 24 aprile inizierà la raccolta delle firme per il referendum. Questa data come influenzerà i lavori parlamentari?
«È semplicissimo. Il 24 aprile inizia la raccolta che andrà avanti per 90 giorni. Se si vuole evitare il referendum, entro il 24 luglio bisogna approvare una modifica della legge elettorale in almeno uno dei due rami del Parlamento. Il referendum è una benedizione. Senza quelle firme io non punterei un centesimo bucato sulla possibilità di fare davvero la riforma».
Come crede che reagiranno i partiti dell’Unione?
«Io sono convinto che dopo la nostra mossa di oggi molti siano terrorizzati. È ora che l’Unione metta da parte i bluff e metta le carte sul tavolo. Prodi ha intestato al governo l’iniziativa. Ora ci dimostri che la vuole fare davvero. Sono passati già dei mesi e non c’è ancora una posizione unitaria della maggioranza. Io non sono un pasdaran del referendum. Ma sono convinto che chi contribuirà a raccogliere le firme non debba essere colpito da un anatema. E poi c’è anche una motivazione politica».
Quale?
«Quella del referendum è un’ipotesi che provoca scompiglio nell’Unione. Allora prima di archiviarla pensiamoci bene. Forse vale la pena percorrerla. Io, comunque, sono convinto che ora ci sarà un’accelerazione fortissima sulla legge elettorale».
Una volta approvata la legge elettorale riterrebbe corretto tornare alle urne?
«Non sono così ingenuo da pretendere un automatismo. Quel che è certo è che quando si avrà una nuova legge non ci saranno più alibi per coloro che si rifiutano di tornare alle urne. Se il governo Prodi inciampa in Parlamento, a quel punto, il voto diventa l’unica via. E nessuno potrà chiedere un governo tecnico di transizione per approvare la nuova legge elettorale».
Pensa che l’Udc possa accettare di discutere il vostro modello di riforma?
«L’Udc ha in mente un altro modello che non credo abbia il consenso della maggioranza del Parlamento. Sicuramente non ha il nostro. Non possiamo accettare di tornare alla logica dei partiti con le mani libere, che non annunciano preventivamente quale alleanza intendono formare. Vorrebbe dire tornare alla politica dei due forni. Se l’obiettivo di Casini è un centro autonomo dai due poli è una strategia che non condivido. Per me il pilastro è il bipolarismo». Considera conclusa l’esperienza della Casa delle libertà?
«No, ritengo che siamo entrati in una nuova fase della Cdl. Oggi abbiamo dato prova che siamo ancora capaci di prendere iniziative unitarie e lo abbiamo fatto sul tema che sembrava maggiormente dividerci. È un segnale importante. Questo pone agli altri la necessità di confrontarsi con noi».Lei ha preclusioni nel trattare con i centristi?
«Nessuna preclusione. È l’Udc che si è chiamata fuori. Non ha senso insultarsi. Chi ha filo per tessere lo faccia».
Ma lei crede alla formula delle due opposizioni?
«No. Si vince se si resta uniti. E d’altra parte nel 95% dei casi abbiamo già trovato gli accordi per le amministrative».
Resta aperto, però, un nodo delicato: quello di Verona.
«Lì ci sono due candidati in campo: Meocci per l’Udc e Tosi per la Lega. Io sono convinto che dobbiamo presentarci con un solo candidato. Io non dico chi si deve ritirare. Ma se non si arriverà a un accordo An sosterrà Tosi perché tutti i sondaggi dicono che ha maggiori possibilità di vincere. Non ne faccio una questione di appartenenza. All’Aquila ci schiereremo con un candidato Udc esattamente in base alla stessa logica».
Se lei ripensa al voto sull’Afghanistan che ha sancito la spaccatura della Cdl ha qualche rimpianto?
«No, sono convintissimo di quella scelta. Nessuno di noi è mai stato così ingenuo da pensare di poter dare la spallata al governo. L’ho detto anche all’ambasciatore Spogli che il decreto sarebbe passato. Ci siamo astenuti perché l’Afghanistan con l’offensiva dei talebani è diventato un teatro di guerra. Lo ha ammesso perfino D’Alema che, però, ha offerto soltanto parole. Sarebbe bastato un emendamento favorevole al passaggio dalla difesa passiva a quella attiva a farci votare a favore. Non è ammissibile che gli altri Paesi possano contare su di noi al 70%. Servono mezzi più idonei altrimenti è inutile mettere a rischio i nostri ragazzi soltanto perché non si può dire alla sinistra radicale che l’Afghanistan è diventato un teatro di guerra».
Come si sarebbe comportato al posto di D’Alema se la sua controparte avesse richiesto il rilascio di prigionieri per liberare un ostaggio?
«Innanzitutto non mi sarei rivolto ad Emergency e non avrei minato la credibilità dei nostri servizi. Ma ciò che ha destato davvero stupore è stato il riconoscimento dei talebani come interlocutori. Sa perché la trattativa si è inceppata all’ultimo momento? Perché si sono accorti che nella lista dei guerriglieri c’era un arrestato che aveva iniziato a collaborare. Ne pretendevano la liberazione per poterlo sgozzare. La conseguenza di quella scelta è che gli occidentali sono diventati dei bersagli mobili. Se l’Unione ritiene che i talebani possano essere degli interlocutori, allora vuol dire che non riconosce la legittimità del governo Karzai. Se è così, lo dica».
Ma voi vi siete mai trovati a gestire una situazione simile? «Mettiamola così: sfido chiunque a dire che mai una sola volta abbiamo preso in considerazione l’ipotesi di uno scambio». Presidente, cosa pensa del progetto di cessione del controllo di Telecom agli americani di At&T e ai messicani di American Movil?
«Non mi spaventa l’ipotesi che Telecom venga acquistata da capitali stranieri. È il mercato. La cosa che colpisce è che il governo sia del tutto incapace di prendere atto di una situazione che lo stesso governo ha contribuito a determinare».
Sul fronte Alitalia, invece, ha preferenze tra le tre cordate che si contenderanno la nostra linea aerea?
«La politica non può esprimere preferenze. Una cosa, però, voglio dirla: noi siamo per le privatizzazioni. Ora le condizioni ci sono. E credo che sia arrivata l’ora di procedere alla privatizzazione delle municipalizzate che rappresentano una paradossale nicchia di socialismo reale. Dopo i provvedimenti contro tassisti e panettieri forse questo governo dovrebbe fare qualcosa di serio».

2.4.07

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