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Blog QUOTIDIANO dedicato alla Politica ITALIANA.On line da febbraio 2006

23.4.06

Bertinotti: «Ridimensionare Mediaset»


Mediaset deve essere «dimagrita», sia nella pubblicità che nel numero delle reti. Lo ha detto Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione comunista, ospite della trasmissione di Lucia Annunziata «In mezz'ora», aggiungendo di essere contrario alla privatizzazione della Rai. «Sono stato assolutamente contrario finora, e lo sarò anche domani» ha spiegato il presidente «designato» della Camera. Rispondendo alla domanda se Mediaset deve restare così com'è ha detto: «Credo che debbano essere combattute le condizioni di monopolio, di duopolio, di oligopolio, anche con una nuova legge». «Per quale ragione questo deve trascinare la privatizzazione della Rai?» si è chiesto Bertinotti, aggiungendo: «Anzi, penso che il carattere pubblico della Rai, di una Rai che lavora in direzione della cittadinanza, in direzione del popolo, sia uno strumento fondamentale anche di una nuova politica economica, non solo di una politica sociale». L'Annunziata: questo significa che Mediaset dovrebbe «essere dimagrita»? «Direi di sì» ha risposto Bertinotti, specificando che ciò dovrebbe valere sia per la pubblicità che per le reti.
DUE MINISTERI - Passando a parlare del ruolo di Rifondazione Comunista nel governo dell'Unione, Bertinotti ha detto che come chiesto da Prodi anche Rifondazione proporrà una rosa di nomi per i futuri ministri. «Sarebbero stati disposti a darci il ministero degli Esteri o quello del Tesoro?» si è domandato Bertinotti. L'aspettativa è quella per un paio di dicasteri nell'esecutivo e di alcuni posti da sottosegretario. Capo della delegazione del Prc al governo dovrebbe essere il responsabile economia del partito, Paolo Ferrero, che potrebbe puntare a un ministero nel settore del welfare, mentre l'altra candidata dovrebbe essere Patrizia Sentinelli, deputata neoeletta. Qualora dovessero entrare a far parte del governo per i parlamentari del Prc scatterebbe però la norma dell'incompatibilità con l'incarico di deputato o di senatore. Sembra invece allontanarsi l'ipotesi della Giustizia, per la quale era stato indicato l'avvocato Giuliano Pisapia, considerato troppo garantista da una significativa parte della magistratura.
MONTECITORIO - Altro tema toccato durante la trasmissione, il ruolo di presidente della Camera, ruolo che potrebbe toccare al leader Prc. Al presidente di Montecitorio non spetta «una politica interventista. Penso che il compito del governo debba essere autonomo e separato da chi rappresenta le istituzioni - ha detto Bertinotti -. Il mio compito non sarebbe quello di rafforzare la maggioranza, ma di garantire un funzionamento libero e democratico delle istituzioni. Da presidente della Camera quello che si può fare è rafforzare il tessuto di rapporto democratico tra il paese e le istituzioni».
FARNESINA E DS - E sul ruolo istituzionale che occuperà nel governo di centrosinistra, Bertinotti è andato anche oltre il futuro a Montecitorio. «Sugli Esteri farei a cambio - ha ammesso -. Il ministro degli Esteri lo considero un ruolo strategico, perché la collocazione geopolitica di un paese è fondamentale. Anche l'Italia economica e sociale dipenderà molto da questa collocazione. La politica internazionale è un punto strategico». E sulla penalizzazione subita dai Ds con la rinuncia alla presidenza della Camera osserva: «I Ds hanno un ritorno politico determinato dalla coerenza dell'investimento nelle loro scelte». Bertinotti fa riferimento alla direzione di marcia verso l'Ulivo, verso il Partito democratico e ricorda che nelle primarie dell'Unione «Prodi è stato scelto come candidato pervalentemente dai Ds. Io non sono Prodi, ma faccio una previsione: i Ds avranno degli incarichi di governo tra i più importanti» ha concluso.
ISRAELE E HAMAS - E nel ruolo «improvvisato» di ministro degli Esteri, Bertinotti ha parlato della questione israelo-palestinese. «Ho una posizione molto critica verso Hamas, ho lamentato il suo successo alle ultime elezioni palestinesi, è una linea che non condivido affatto perché il riconoscimento dello Stato di Israele insieme al riconoscimento dello stato palestinese è la condizione per la pace, ma penso anche che la trattiva educa, perciò la critica ad Hamas non deve impedire il confronto. Bisogna fare di tutto per attivare il negoziato» ha detto.
BOLOGNA - Bertinotti ha dedicato un commento anche alla vicenda di Bologna, dove Verdi e Rifondazione hanno attaccato il pm Paolo Giovagnoli, «colpevole» di aver svolto indagini su un gruppo di no-global che si erano autoridotti il prezzo della mensa. «La magistratura è intervenuta ingigantendo il conflitto sociale e incorrendo in un errore - ha detto il leader Prc -, ma mi guardo bene dal mettere in pregiudicato la sua autonomia».(www.corriere.it)

20.4.06

Ds e Rifondazione non arretrano, vogliono presidenza Camera


Nonostante un incontro tra i due rivali aspiranti alla presidenza di Montecitorio, il segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti e il presidente dei Ds Massimo D'Alema, non si è sbloccata oggi nel centrosinistra la questione di chi sarà il successore di Pierferdinando Casini, in una partita sulla nomina delle cariche istituzionali e dei ministri del futuro governo che si annuncia combattuta.

Rifondazione comunista punta apertamente a fare del suo segretario la terza carica dello Stato. "Questo è il nostro obiettivo, non ci sono subordinate o cariche (ministeriali) di compensazione", ha detto oggi il portavoce di Bertinotti. Pur dando notizia di un incontro tra Bertinotti e D'Alema -- il più accreditato candidato per la presidenza della Camera dei Ds -- avvenuto oggi a Bruxelles, il portavoce ha ribadito che non ci sono cedimenti su questo punto nel suo partito.

Altrettanta determinazione ha mostrato oggi il segretario dei Ds Piero Fassino nel rivendicare per il suo partito, "il primo della maggioranza" la presidenza della Camera dei deputati.

"E' del tutto comprensibile e fondato che il principale partito della maggioranza che ha vinto le elezioni abbia la responsabilità di guidare una delle due assemblee elettive che noi, come è noto, abbiamo individuato nella Camera dei deputati", ha detto oggi Fassino ai giornalisti.

"Come è noto, queste questioni non si risolvono in un attimo, bisogna avere la capacità di dialogare e trovare le soluzioni ragionevoli per uscire da questa impasse", ha proseguito, prima di incontrare Prodi nel quartier generale di quest'ultimo a piazza SS Apostoli.

Dal colloquio con Prodi, il segretario è uscito senza rilasciare dichiarazioni.(Reuters)

Luxuria detta già legge: «Faremo i Pacs a Roma»


Appena eletta la deputata di Rifondazione comunista, Vladimir Luxuria va in Campidoglio e attacca il vicesindaco della Margherita, Mariapia Garavaglia, “rea” di aver osteggiato il riconoscimento delle unioni civili. Nell'affrontare concretamente le tematiche più spinose dunque esplodono già le contraddizioni interne al centrosinistra. Ieri Wladimiro Guadagno (in arte Vladimir Luxuria) ha preso parte a un convegno sulle elezioni organizzato dal gruppo consiliare del Prc e ha subito messo le carte in tavola.«Chiederemo che il Comune di Roma istituisca un registro delle unioni civili e una delega per le questioni degli omosessuali», ha detto Luxuria. «Le questioni degli omosessuali fino ad oggi sono state fortemente osteggiate dal vice sindaco, Mariapia Garavaglia - ha denunciato Luxuria -. Ma di certo non basta avere un numero verde per denunciare le discriminazioni nei confronti degli omosessuali». Un'altra conferma della frammentazione del centrosinistra. Eppure anche nella Margherita c'è chi vorrebbe fare insieme con radicali,Alcune questioni sulle quali le spaccature erano troppo profonde sono state escluse dal programma oppure trattate in modo superficiale. I dubbi e le perplessità del mondo cattolico restavano molti. Tanto che l'ex presidente delle Acli, Luigi Bobba, insieme alla ex presidentessa del Comitato Scienza e Vita (nato in difesa della legge 40 sulla fecondazione assistita) Paola Binetti, entrambi candidati al Senato con la Margherita, si erano sentiti in dovere di lanciare un appello rassicurante ai loro potenziali elettori: un buon cattolico, avevano scritto in una lettera aperta, può votare l'Unione. Adesso però la campagna elettorale è finita, Bobba e Binetti sono stati eletti ed è arrivato il momento di guardare in faccia la realtà. Bobba a questo punto ha sentito l'urgenza di prendere le distanze da alcuni dei suoi alleati piazzando paletti precisi. L'ex presidente delle Acli in un intervento sul Corriere della Sera dice sì a un Partito democratico soltanto se non ne faranno parte anche i radicali e i socialisti della Rosa nel Pugno.Le ragioni erano ovvie anche prima delle elezioni: troppo lontani e troppo diversi in politica interna e anche in politica estera. Il Partito democratico può fare benissimo a meno «dell'apporto della cultura radical-socialista». Anzi il partito cui pensa Bobba è proprio alternativo a quella cultura. Ed è una tesi che con qualche distinguo ieri sposava anche Luciano Cafagna sul Riformista: in Italia si può fare a meno dei radicali ma non dei cattolici. Bobba poi rivendica il valore dell'essere cattolici anche in politica altrimenti,scrive, si negherebbe la Storia del nostro Paese e anche «l'originalità dell'apporto dei cattolici alla vita pubblica, a cominciare dalla Carta costituzionale». A Bobba replica in modo critico Europa. Il quotidiano della Margherita accusa il neo senatore di «rendere le cose più ardue», ovvero ancor più impervio il già difficile processo di costruzione di un grande Partito democratico. Per Europa «l'orgogliosa esposizione delle proprie identità in opposizione ad altre rende impraticabile ed elettoralmente costoso il progetto unitario».
In sostanza ai cattolici del centrosinistra si chiede, se non di dimenticare, di accantonare la loro identità per annacquarla all'interno del partito unico. I cattolici non appaiono inclini alla rinuncia ma semmai a far fuori i radicali. (www.ilgiornale.it)

Unione: Prodi vede De Benedetti


Continua il giro di consultazioni di Romano Prodi. Allargato non solo agli alleati ma ora anche agli imprenditori. Il leader dell'Unione ha incontrato nella sede dell'Ulivo di piazza Santi Apostoli, Carlo De Benedetti. A quanto si apprende, si è trattato di un breve colloquio di circa un quarto d'ora. L'Ingegnere, che guida il gruppo editoriale L'Espresso-Repubblica, si sarebbe recato dal Professore per un breve saluto e per congratularsi per la vittoria elettorale. De Benedetti, uscito dalla sede dell'Unione, non ha parlato con i giornalisti, l'ha fatto invece Benedetto Della Vedova. Secondo l'esponente dei Riformatori liberali «alla luce di quello che l'Ingegnere dichiarò in un famosa intervista ai tempi in cui venne decisa la leadership del Professore bolognese, bisognerebbe capire se i due hanno parlato dell'attuale situazione politica o non piuttosto del dopo-Prodi».
IL TELEGRAMMA DA CONFALONIERI - La giornata di Prodi vive però anche di altri «contatti» eccellenti. Se manca sempre l'ammissione formale della sconfitta da parte di Berlusconi («non ha chiamato ma aspetto», ha glissato il leader dell'Unione), il Professore continua a ricevere telefonate di congratulazioni per la vittoria. Anche da Mediaset, a suo dire. «Ho ricevuto anche un telegramma di Confalonieri: i tempi degli affari sono più veloci di quelli della politica», ha spiegato Prodi. E ha poi aggiunto: «Però ne sono arrivate tante altre, dall'Italia e dall'estero. Mi ha chiamato anche Gheddafi».(www.corriere.it)

Prodi: «Triste che non riconoscano vittoria»



«È molto triste che ci siano questi fatti in una democrazia matura»: Romano Prodi commenta così a Sky Tg 24 le proteste della Cdl dopo la conferma della vittoria dell'Unione, arrivata dalla Cassazione. «Lavoro ormai da qualche giorno all’agenda di governo - ha continuato il Professore - il problema non esiste, non disturba l’azione, ma è triste, molto triste. Prima o poi riconosceranno come stanno le cose». Poi il leader dell'Unione ha concluso: «Siccome abbiamo pazienza continueremo ad avere pazienza». (www.corriere.it)

18.4.06

«Romano e Silvio? Due sconfitti»


«È giunto il momento che Silvio Berlusconi riconosca di aver preso un voto in meno di Romano Prodi, e che Prodi a sua volta ammetta di avere più problemi che voti». Sebbene sia un autorevole esponente del centrodestra, come una sorta di «re senza terra» della politica italiana Marco Follini attende che si compia il tempo della Grande coalizione, «che non è ancora in agenda ma ci entrerà», e nel frattempo parla del Cavaliere e del Professore come di «due sconfitti». Lo fa partendo dal paragone con «le elezioni del 1976, quando dalle urne - come disse allora Aldo Moro - uscirono due vincitori: la Dc e il Pci. Quel voto portò al governo di solidarietà nazionale. Oggi il risultato vede invece in campo due sconfitti, perché Berlusconi ha perso palazzo Chigi, ma Prodi dovrà fare i conti con numeri troppo piccoli e contraddizioni troppo grandi». E «certo, si tratta di due sconfitti rispettabili, influenti e importanti», siccome «entrambi escono dalla competizione onusti di voti, ma prigionieri di difficoltà». Si intuisce che l’ex segretario dell’Udc ha lo sguardo già rivolto al futuro, ben oltre l’orizzonte in cui colloca la necessità, quella che lui definisce «l’esigenza politica», di aprire una fase di «pacificazione nazionale». È un percorso a tappe. Parte dall’«indispensabile collaborazione tra i due poli sulle cariche istituzionali e sulle regole». Poi passa da una «intesa» sui temi economici: «Dall’emergenza nazionale del debito pubblico, che va sottratta al gioco dello scontro, alla legislazione sul nodo della concorrenza, che serve a renderci più competitivi». Infine si consolida sulla «politica internazionale», dove «è già accaduto che per sopravvivere il centro-sinistra abbia avuto bisogno di noi». Già prima del 9 aprile Follini teorizzava la Grande coalizione, figurarsi oggi: «Lo so che non è dietro l’angolo, però penso che le difficoltà del Paese siano tali che il tema diverrà di strettissima attualità». Anche il Financial Times sembra indicare questa strada, paventando uno stallo politico e il rischio di un’uscita dell’Italia dall’Eurozona. «Il Financial Times non vota ma pesa. Quell’articolo non lo interpreto come una congiura, ma come un segnale delle nostre difficoltà. E l’Unione fa male a insorgere. Sono opinioni con cui fare i conti. Sta poi alla classe politica smentire quella profezia. Non è sventolando le bandiere che ne verremo a capo». I poli ammaineranno le bandiere per la scelta del prossimo capo dello Stato? «Siamo nelle condizioni di scegliere insieme, confermando un presidente della Repubblica che abbiamo condiviso tutti: quello che c’è». Ma Carlo Azeglio Ciampi non sembra disponibile. «Nessuno può forzare la sua sensibilità personale, però credo sia lecito esprimere un desiderio che coincide con l’interesse del Paese. E parlo di un mandato pieno, non di un mandato a termine...». Nell’Unione magari qualcuno aveva fatto un pensierino a quella carica. «C’è un interesse generale evidente che neppure la miopia di una grande partigianeria può trascurare». Consumato il passaggio del Quirinale, e se la Grande coalizione non è ancora all’ordine del giorno, come si andrà avanti? Perché, all’apertura di Berlusconi, l’Unione ha risposto picche. «Per ora stanno tutti sul copione elettorale. Ma la partita è solo all’inizio. Il Polo si appresta a fare un’opposizione senza sconti. Nessuno di noi, nemmeno quelli più vicini alla linea di confine, farà da stampella a una maggioranza che traballa. Il problema è non far traballare il Paese. E siccome dubito che in una logica di muro contro muro possano governare a lungo...». ...Si arriverà alle larghe intese. «La politica conta più dell’aritmetica: il punto non sono tanto i loro numeri parlamentari esigui, ma i problemi da affrontare con una coalizione che è un coacervo di contraddizioni». Siccome lei rappresenta Berlusconi e Prodi come «due sconfitti», vuol dire che la Grande coalizione servirà ad aprire la fase del dopo Berlusconi e del dopo Prodi? «Non sto a ripetere le mie opinioni in materia, che sono invecchiate anche loro. Io penso che la soluzione di questa difficile equazione sarà affidata a chi, con più prontezza, afferrerà il bandolo della matassa. Il mio compito non è di fare nomi e tantomeno di escluderne. Anche perché Berlusconi e Prodi hanno ricevuto un battesimo di forza». Dica la verità, non si aspettava che il Cavaliere sarebbe riuscito ad arrivare sul filo di lana. «Le differenze politiche tra me e lui restano tutte. Ma onestamente mi ha sorpreso e gliene do atto». E magari se lei avesse consentito la modifica della par condicio, avrebbe vinto. L’ha riconosciuto persino il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa. «Può darsi che il Polo avrebbe preso qualche voto in più, ma resto convinto che una simile forzatura avrebbe fatto perdere punti al Paese». Magari la Grande coalizione può far perdere al Paese il bipolarismo. «Al contrario. Credo serva a far crescere il modello bipolare. Il filo spinato con cui sono difesi oggi i due schieramenti deve lasciare spazio a un filo di comunicazione. Il rischio è che le coalizioni saltino se non c’è una cornice comune». Sarà, ma quel disegno porta a disarticolare da una parte il rapporto tra l’Unione e la sinistra antagonista, e dall’altra il legame tra il Polo e la Lega.
«Non è che si può fare la Grande coalizione come fosse la casa del Grande Fratello, in cui le nomination servono per escludere qualcuno. Il progetto di collaborazione a mio avviso serve. Altrimenti qual è l’alternativa se l’Unione non riuscisse ad andare avanti? Io non sono tra quanti pensano che una legislatura appena iniziata debba essere buttata via ai primi venti autunnali». Secondo lei lo pensa Berlusconi? «Ma questo è un Paese che ha bisogno di un minimo di respiro. Altrimenti il rischio è che la crisi del sistema sia più pesante del bottino che i vincenti riterranno di poter conquistare». Se è vero che l’intento della Grande coalizione è modernizzare il bipolarismo italiano, sarebbe disponibile nel frattempo a lavorare per la nascita di un partito dei moderati che va da An a Forza Italia? «Se si mettesse mano alle regole e si irrobustisse la cornice istituzionale, si potrebbero fare molte cose. Ognuna però ha il suo tempo». (Corriere.it)

«Voto: l'Italia rischia l'uscita dall'euro»


Un default sul debito e l'uscita dall'euro entro 10 anni. Sono molto nere le previsioni del Financial Times sull'Italia dopo la vittoria, di strettissima misura, di Romano Prodi nelle ultime elezioni politiche. La tesi è contenuta nell'ascoltatissimo commento settimanale dell'editorialista Wolfgang Munchau, condirettore del quotidiano londinese. «La risicata vittoria della coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi - si legge nell'editoriale - costituisce il peggior esito immaginabile in termini di possibilità dell'Italia di rimanere nell'eurozona oltre il 2015». «Prevedo che gli investitori internazionali inizino ad assumere scommesse speculative sulla partecipazione italiana all'euro entro la durata di un governo Prodi. Queste - puntualizza Munchau - non sono scommesse sull'impegno politico di Prodi nei confronti dell'euro. Sarebbe infatti difficile trovare un politico più a favore dell'Europa dell'ex presidente della Commissione europea. Queste sono scommesse sulle circostanze economiche che potrebbero obbligare un governo a prendere decisioni che sono inimmaginabili fino al momento in cui diventano inevitabili».
LA COMMISSIONE UE: «IMPOSSIBILE» - Ai dubbi espressi dal quotidiano inglese risponde in modo netto il portavoce della Commissione europea Ferran Tarradellas, che, richiesto di un commento, ha dichiarato: «L'euro è una realtà e resterà tale». Il portavoce ha quindi aggiunto che «non è possibile che l'Italia esca dall'euro».

L'ECONOMIA ITALIANA - «Tutti sappiamo - sottolinea Munchau nell'editoriale del Financial Times - che l'economia italiana si trova in profonde difficoltà. Ma è importante ricordare che i problemi italiani sono differenti da quelli della Francia e della Germania. Molte economie continentali sono afflitte da bassa crescita e alta disoccupazione. Anche l'Italia soffre di un basso livello di crescita anche se la sua creazione di posti di lavoro è stata rilevante. Ma il problema dell’Italia è quello di non essere pronta a una vita nell'Unione monetaria».

LE RIFORME DI PRODI - Il Financial Times segnala la forte discrasia tra problemi e soluzioni proposte. Da un lato infatti «sin dalla nascita dell'euro nel 1999, l'Italia ha registrato un massiccio apprezzamento del suo tasso reale di cambio. I suoi costi unitari del lavoro sono cresciuti del 20% rispetto alla Germania. Ma mentre le retribuzioni tedesche reagiscono alla domanda aggregata, i salari italiani continuano a crescere a un ritmo del 3% annuo. L'Italia registra anche un problema di competitività di prezzo in molti settori economici. Un programma sensibile di riforme economiche dovrebbe concentrarsi sulla contrattazione salariale e sulla regolamentazione dei mercati dei beni e servizi». Dall'altro lato «Prodi offre il tipo sbagliato di riforme. Che consiste nello stesso tipo di riforme che sono fallite in altri Paesi europei. E dal momento che la sua frammentata coalizione di moderati, socialisti e comunisti, avrà una sottolissima maggioranza in Senato, potrebbe anche non essere in grado di portare a compimento il suo insufficiente programma. Se l'Italia continuerà a perdere competitività macroeconomica, un movimento politico populista potrebbe ben emergere con un programma per l'abbandono dell'euro. Proviamo a immaginare l'inimmaginabile e ipotizziamo che un futuro governo italiano riporti la lira. Cosa succederebbe al debito del Paese, prevalentemente denominato in euro, che attualmente raggiunge il 106,5% del Pil? L'Italia sarebbe quasi certamente incapace di rimborsare pienamente le sue obbligazioni nei confronti degli investitori. E dovrebbe o riconvertire tali debiti in lire a un tasso di cambio sfavorevole agli investitori, o addirittura dichiarare apertamente l'insolvenza». Il condirettore del Financial Times snocciola qualche altra cifra rilevante. «Dal punto di vista di un investitore l'abbandono dell'eurozona è equivalente a un'insolvenza sovrana. E data questa prospettiva, perché i mercati finanziari non stanno ancora scommettendo su un tale evento? La scorsa settimana i rendimenti sui titoli pubblici decennali italiani registravano solamente un differenziale di 0,3 punti al di sopra degli equivalenti titoli tedeschi. E tale valutazione suggerisce che i mercati non vedono attualmente un alto rischio di default. Ma certamente, anche se qualcuno reputa improbabile l'abbandono italiano dell'eurozona, il rischio non è nemmeno pari a zero».
L'OTTIMISMO DEL MERCATO - Secondo Munchau «tre fattori potrebbero spiegare l'ottimismo del mercato». Primo: «l'opinione che l'Italia potrebbe essere effettivamente intrappolata dentro l'Eurozona; lasciarla non risolverebbe alcun problema economico». Secondo: la Banca centrale europea in ultima istanza interverrebbe per evitare l'insolvenza di uno stato membro. Ma tale argomento - si legge ancora sul Financial Times - sembra sottovalutare la decisione della Bce a rispettare la propria regola di "non salvataggio" in tali circostanze». Il terzo fattore è quello che «anche se si accettasse lo scenario peggiore, è ancora molto improbabile che l'insolvenza si materializzi entro la vita residua di un’obbligazione decennale. E tale argomento - sottolinea Munchau - offre la spiegazione più plausibile per cui i mercati non hanno ancora fatto pagare un premio di rischio più elevato sui titoli di stato italiani. E spiega anche perché i mercati obbligazionari sono notoriamente cattivi indicatori anticipati del rischio d’insolvenza. I mercati obbligazionari sono compiacenti fino a quando iniziano ad andare nel panico».

IL GOVERNO DELL'UNIONE - Il Financial Times chiede retoricamente: «dopo i risultati delle elezioni italiane gli investitori rimarranno altrettanto ottimisti sui seguenti dieci anni durante la vita di un governo Prodi? Esiste una ragionevole possibilità che nei prossimi cinque anni il premio di rischio (italiano, ndr) salirà nei prossimi cinque anni. E prevedo - aggiunge Munchau - anche un aumento per gli swap sull'insolvenza creditizia italiana, strumenti finanziari attraverso i quali gli investitori possono assicurarsi contro il rischio. La scorsa settimana gli investitori avrebbero pagato un premio annuale di 21.750 euro per assicurarsi contro l’insolvenza su di un investimento di 10 milioni di euro in un titolo di stato italiano a 10 anni. E si tratta di un livello molto basso, date le incertezze economiche e politiche. Tali swap, non sono sofisticati strumenti speculativi. Un acquirente di swap sull’insolvenza creditizia italiana viene rimborsato solo se l’Italia cade in uno stato d’insolvenza. Ma gli investitori sofisticati sanno come costruire strategie di trading profittevoli da una situazione così sbilanciata. I mercati finanziari non possono provocare l'uscita di un Paese dall'Unione monetaria attraverso la speculazione valutaria, come fecero nel 1992 facendo uscire la Gran Bretagna dal meccanismo di cambio europeo. Ma per gli investitori esistono altri modi per sfruttare le difficoltà di un Paese dentro un'Unione monetaria».

PARALLELI ROMA-LONDRA - «Ecco perché - conclude Munchau - esistono dei paralleli tra l'Italia di oggi e la Gran Bretagna del 1992. Allora l’impegno della Gran Bretagna per il meccanismo di cambio appariva incrollabile come l'impegno di Prodi per l'euro ora. Ma la Gran Bretagna non era pronta né economicamente né politicamente a vivere in un regime di cambi semifissi. E la partecipazione dell'Italia all'euro è basata su fondamenti parimenti traballanti. Quattordici anni fa per gli investitori ci vollero pochi giorni per smascherare una bugia politica».(Corriere.it)

Ciampi: «Farò il senatore a vita»


«Per fortuna l’anagrafe è dalla mia parte e in un certo senso scongiura l’eventualità di una riconferma da presidente. E, poi, sono convinto che sette anni quassù siano già tanti. Raddoppiarli significherebbe... sì, forse, una specie di monarchia repubblicana. In ogni caso non mi ritiro affatto: farò il senatore a vita e ci metterò lo stesso impegno che ho sempre cercato di assicurare in tutti gli incarichi che mi sono stati affidati. In quella veste continuerò a seguire gli sviluppi politici e istituzionali del Paese... e darò il mio contributo». Così riflette Carlo Azeglio Ciampi in occasione di un colloquio informale concesso a chi scrive in occasione dell’uscita del libro La guerra del Quirinale (che analizza anche il suo mandato) quando il discorso scivola sulla rielezione. Anche se non si tratta di un’intervista, ha riluttanza a parlarne, sia che la questione venga sollevata con una battuta, come per rendergli l’onore delle armi al termine di una stagione faticosa, sia che si punti a sondarne sul serio la disponibilità a restare, date le incertezze di questi giorni dominati dalla paura del futuro. E, per quanto qualcuno dello staff si avventuri ad azzardare in camera caritatis che potrebbe forse lasciarsi convincere se il «sacrificio» gli venisse chiesto da un fronte trasversale e bipartisan, c’è da prendere atto che al momento questa è la sua risposta. In linea con lo sfogo di alcuni mesi fa, quel «voglio congedarmi con dignità» che riassumeva un proposito: risparmiare alla più alta carica del Paese le miserie del mercato politico. Se sul bis Ciampi si mostra laconico e se tace sul passaggio di legislatura perché a dettare tempi e metodi ci sono la Carta e la prassi, non si sottrae invece a un provvisorio bilancio del settennato. Spiegando le intenzioni che hanno ispirato i suoi passi. Elencando i nodi irrisolti della transizione che continuano a pesargli. Respingendo alcune polemiche dalle quali è stato incalzato. INTERESSI E CONFLITTI - Tra le critiche di cui il presidente ha più sofferto c’è quella di «non aver contrastato abbastanza» un Berlusconi la cui parabola politica soffriva di un vizio congenito: la mancata (o non adeguata) separazione di interessi privati e funzioni pubbliche. A chi gli ha contestato «debolezze», come se fosse toccato a lui fare il lavoro dell’opposizione, Ciampi ricorda che «alla fine degli anni Novanta, ai tempi del centrosinistra a Palazzo Chigi, ci fu un disegno di legge sul conflitto d’interessi attorno al quale si era formata una larghissima maggioranza». Ma, «a un passo dal varo di una disciplina costruita con un accordo generale, si preferì lasciar giacere al Senato quel pacchetto di norme», e questo ormai alla vigilia del voto del 2001. Insomma: l’iniziale consensualità si era spezzata e, nonostante diverse sollecitazioni del Quirinale, «non si è più voluto cercare un compromesso sul vecchio testo». Il problema fu risolto mesi dopo dal centrodestra, secondo criteri insufficienti per l’altra metà del Parlamento e che hanno sparso una zavorra di veleni tale da lambire persino il Colle. PLURALISMO E DEMOCRAZIA - In realtà si poteva e si doveva cercare fino all’ultimo un’intesa, tenendo magari conto anche del riassetto del sistema radio-televisivo, al di là del duopolio Rai-Mediaset. Per il presidente, infatti, tutto si tiene, in questo aspetto «cruciale per la stessa salute di una democrazia». Tutto, anzi, si sovrappone. «Quante volte sono intervenuto su questo fronte, quanti appelli ho lanciato prima di proporre solennemente una riflessione risolutiva, con un messaggio alle Camere, nel luglio 2002?» Sottinteso: è stato davvero accolto il suo allarme, visto che il capo dello Stato ha «dovuto» rifiutare la firma alla legge Gasparri, almeno nella prima stesura? IL «NOSTRO CONCERTO» - Ciampi si arrabbia (usa proprio quest’espressione) quando gli contestano la moral suasion attraverso la quale avvertiva il governo che certi provvedimenti ancora in itinere erano minati da una precaria costituzionalità e suggeriva determinate «migliorie» prima dell’approdo in Aula. Lo hanno accusato di essere divenuto così quasi «coautore» di alcune leggi ad personam del Cavaliere, con una sorta di vincolo ad avallarle. Tuttavia, chiarisce ora, fu anche il metodo del presidente Einaudi per smorzare situazioni di conflitto potenziale ed «evitare che arrivassero al punto di rottura». «Una pratica corrente tra i banchieri centrali nel dialogo con i governi dei rispettivi Paesi e, più tardi, con le autorità monetarie dell’Ue». Una chiave di lavoro parente stretta della concertazione grazie alla quale, nel luglio 1993, si poté arrivare a uno storico accordo sul costo del lavoro del quale resta orgoglioso. «Non posso dimenticare il giorno in cui riunii sindacati, imprenditori e governo a Palazzo Chigi, feci sedere tutti a un tavolo e dissi: "Ognuno di voi forse penserà di rimetterci qualcosa, oggi, ma ciò che conta è la tutela di un interesse generale. Cerchiamo di uscire da questa riunione con un risultato nel quale tutti si possano riconoscere"». EUROPA ED EURO - Il presidente ripete spesso che «l’Italia ha un dovere storico alla coerenza nei confronti dell’Europa», un’opzione che considera «irreversibile fin da quando fummo cooptati nella Comunità per il carbone e l’acciaio», la Ceca. Aggiunge che «non dobbiamo lasciarci condizionare dallo stop impresso da Francia e Olanda, con il loro voto negativo sul Trattato costituzionale». E neppure dalle «remore che sembrano mostrare alcuni Stati dell’Est entrati nell’Unione»: schiacciati per decenni dall’Urss, «è comprensibile che temano di perdere quote di una sovranità appena riconquistata». Ma le esortazioni a restare saldamente legati a Bruxelles non nascondono anche una vena pessimista, come se solo l’Europa con le sue regole potesse costringerci a diventare un Paese normale? E’ un retropensiero sul quale Ciampi annuisce. Però allarga il ragionamento alle «convenienze concrete». Batte la mano sulla tasca della giacca dove tiene il portafoglio e racconta che lì conserva un appunto ingiallito con i grafici sull’andamento dei tassi d’interesse dell’Italia prima e dopo l’ingresso nel club di Maastricht. «Quanto abbiamo risparmiato mettendo in ordine i conti pubblici?» Vale a dire: a queste cose ci pensano mai certi politici che si sono baloccati a terremotare la nostra scelta europeista? LA GUERRA IN IRAQ - Uno strappo con Bruxelles l’Italia l’ha compiuto anche ai tempi del conflitto iracheno, nelle settimane in cui il premier ci schierò almeno politicamente con «la coalizione dei volonterosi» messa insieme da Bush. Allora, era il marzo 2003, Ciampi fece un passo senza precedenti: «Convocai al Quirinale il Consiglio supremo di difesa e, facendomi forte dell’articolo 87 della Carta, fissai i limiti costituzionali e parlamentari entro i quali Parlamento e forze armate dovevano muoversi». Erano le regole d’ingaggio in base alle quali i nostri soldati andarono a Nassiriya per un’operazione di peacekeeping , dopo un pronunciamento dell’Onu e a diverse settimane dalla fine dei combattimenti. Per quanto di pace, la missione presentava rischi ben presenti al capo dello Stato. Non a caso si fa silenzioso e si rabbuia: si poteva dire che «l’articolo 11 sul ripudio della guerra non era stato violato», ma abbiamo avuto i nostri morti da piangere. LA MEMORIA E LA PATRIA - Cogliere il legame tra Risorgimento, Resistenza, Costituzione è stato «naturale» per Ciampi. Che non ha mai voluto vedere nell’8 settembre 1943 la morte della Patria. «Ero un giovane soldato che interrogò la propria coscienza e, senza far nulla di eroico, ritrovò proprio allora le ragioni di un impegno, patriottico e civile. Non perdonai la fuga del re, anche se riconobbi che, andando al Sud, aveva in qualche maniera garantito la continuità dello Stato». UN TIMIDO IN VIAGGIO - Il settennato sul Colle è stato un periodo di metamorfosi persino umana, per Ciampi. Il quale confida: «Io sono un timido, se devo parlare in pubblico tendo a bloccarmi. Del resto, da governatore di Bankitalia ero abituato a farlo un paio di volte l’anno, non di più. Andare tra la gente mi ha reso facile fare qualcosa per la quale non ero proprio portato». Il «viaggio in Italia» era nato da un’idea minimalista: visitare le regioni e le maggiori città. Strada facendo «il progetto si è via via allargato con l’ambizione di visitare le 103 province italiane. E così, avendo incontrato più di 8.000 sindaci, è come se avessi stretto la mano a tutti i cittadini italiani». (Corriere.it)


16.4.06

Riassegnate 71 schede in Puglia (43 alla CdL e 28 all' Unione)


Sono 71 le schede delle elezioni politiche della Camera dei deputati inizialmente contestate in Puglia nei seggi e riassegnate ai due poli dopo le verifiche compiute dall’ufficio centrale circoscrizionale istituito presso la corte d’appello di Bari. Le schede contestate in origine erano 82. Delle 71 riassegnate, 43 sono state attribuite alla Cdl (28 Fi, 12 ad An; 2 Udc; 1 Fiamma) e 28 all’Unione (21 all’Ulivo; 3 al Prc; 2 Comunisti Italiani, 1 socialisti; 1 Idv). I responsabili dell’ufficio elettorale ritengono che tra oggi e domani verranno conclusi i conteggi complessivi dei voti e lunedì saranno comunicati i risultati definitivi all’ufficio centrale presso la Corte di Cassazione.

Fonte gazzetta del mezzogiorno

15.4.06

Fassino: dialogo sul Quirinale ma niente pasticci con il Polo


La posta in gioco è il Quirinale. Berlusconi continua a non riconoscere la vittoria del centrosinistra. D'Alema gli chiede di abbassare i toni e di accettare il verdetto delle urne se vuole il dialogo e il confronto sull'elezione del capo dello Stato. Il presidente del consiglio uscente rilancia con l'ipotesi del "governissimo". Tocca a Piero Fassino, segretario dei Ds, dettare le condizioni per arrivare a un clima più sereno tra la nuova maggioranza e la nuova opposizione e al confronto sul capo dello Stato. Rivendicando al centrosinistra i presidenti delle Camere, perché hanno un ruolo politico. Onorevole Fassino, ha letto la proposta di Berlusconi? "Prendo atto che nella lettera di Berlusconi c'è un cambiamento di tono: probabilmente si rende conto di dover uscire dal vicolo cieco in cui si è infilato. Ma il tono, per quanto importante, da solo non basta: non si può dire "chiunque vinca". No, il risultato elettorale è chiaro e dice che ha vinto il centrosinistra sia pure di misura ed è ormai evidente che la polemica sui brogli era del tutto strumentale ed infondata". Quindi da dove si può partire per instaurare un clima più sereno? "Intanto Berlusconi dica apertamente che non c'è stato alcun broglio e riconosca che il centrosinistra ha vinto le elezioni. Riconosca quindi che Prodi e il centrosinistra hanno diritto a governare questo paese. La possibilità di instaurare un clima nuovo e un confronto tra la nuova maggioranza di governo e la nuova opposizione dipende dal fatto che ci sia un riconoscimento chiaro dell'esito elettorale. Ci attendiamo nelle prossime ore, non appena le corti d'appello avranno accertato l'assoluta regolarità delle elezioni che sanciscono la vittoria del centrosinistra, che il presidente del Consiglio e i leader del centrodestra riconoscano che Prodi e il centrosinistra hanno la piena legittimità di andare a Palazzo Chigi perché hanno la maggioranza per governare il paese".
Ma Berlusconi quel gesto non lo vuole fare, a meno che non si faccia il "governissimo". "Non vedo francamente le condizioni per dare vita a governi di unità nazionale, non solo per l'asprezza dello scontro di questi mesi, fino all'infamante accusa di brogli che si è rivelata del tutto infondata. Ma anche perché ci siamo presentati agli elettori con programmi alternativi e una confusione di ruoli e di profili non sarebbe capita dagli elettori. Questo non significa che non si possa cambiare il clima nel paese e tra maggioranza e opposizione". Non sembra che si vada in quella direzione, però. "Prodi, D'Alema e anch'io pensiamo che si debba superare il muro contro muro, la contrapposizione frontale, la reciproca delegittimazione perché questo non fa bene al paese e alla solidità delle istituzioni". Ma non le sembra che D'Alema abbia offerto a Berlusconi la possibilità di aprire il fronte del "governissimo"? "Noi stiamo cercando di spiegare a Berlusconi che deve liberarsi dalla sua ossessione per la sconfitta che non vuole accettare. L'intervista di D'Alema aveva l'unico obiettivo di dare a Berlusconi una via d'uscita dal cul de sac in cui si è messo. Se continua a contestare il risultato delle elezioni che fa? Lui e i suoi non partecipano alla seduta inaugurale del Parlamento?". Difficile pensarlo, ma il clima resterà tesissimo. "Quindi assumiamo tutti un atteggiamento reciprocamente più rispettoso e disponiamoci in modo sincero ad un confronto sulle grandi questioni che stanno di fronte al paese: c'è da rimettere in moto un'economia ferma, c'è da mettere in campo una strategia che affronti l'enorme debito pubblico che è cresciuto in questi anni, c'è da riportare l'Italia a un ruolo di protagonista nel processo di unità europea in un momento difficile, c'è da affrontare temi sociali rilevantissimi il primo dei quali è una precarietà che affligge la vita quotidiana di tantissimi giovani e famiglie. Allora, senza confondere i ruoli, e senza inseguire "governissimi" che non esistono, e senza nessuna confusione tra chi governa: il centrosinistra, e chi sta all'opposizione: il centrodestra, sviluppiamo un confronto su questi temi e vediamo se si possono individuare soluzioni programmatiche condivise". Un esempio? "Siccome noi abbiamo proposto che si riduca il cuneo fiscale di cinque punti alla fine del 2006 e la Cdl ha proposto di ridurlo di tre punti in cinque anni, significa che tra noi e loro c'è una diversa graduazione di un provvedimento che tuttavia entrambi gli schieramenti ritengono importante per il rilancio dell'economia. Benissimo, discutiamo di come farlo al meglio. Ma per questo non c'è bisogno di un "governissimo", quando in Parlamento il governo di centrosinistra porterà la sua proposta, si discuterà anche la proposta dell'opposizione per cercare una soluzione condivisa. Naturalmente questo confronto è tanto più necessario sulle questioni istituzionali, che non sono solo le elezioni dei presidenti delle Camere. Che comunque spettano al centrosinistra perché svolgono un ruolo politico". Pensa alla legge elettorale? "Credo che dopo queste elezioni tutti conveniamo che questa è una pessima legge elettorale. Vogliamo aprire un confronto senza pregiudizi tra maggioranza e opposizione per vedere come si può arrivare a una legge elettorale nuova e condivisa? E ancora: noi quando eravamo all'opposizione ci siamo battuti perché venissero adeguati i regolamenti parlamentari alla logica bipolare con l'introduzione di uno statuto per l'opposizione. La maggioranza di allora ci disse di no. Adesso che siamo noi maggioranza, io rilancio la proposta e dico alla nuova opposizione: vogliamo discutere di come modificare il regolamento parlamentare per consentire sia a chi governa, sia a chi è all'opposizione di fare al meglio il suo compito istituzionale?". E arriviamo al nodo del capo dello Stato. La partita in definitiva si gioca tutta sul Quirinale, o no? "Mi pare evidente che il metodo che dobbiamo seguire è quello che abbiamo seguito con Cossiga prima e con Ciampi dopo. Verifichiamo la possibilità di una candidatura di larga convergenza democratica che consenta di avere un presidente della Repubblica con un consenso larghissimo, accentuando così quel suo profilo di rappresentante dell'unità del paese e garante della stabilità delle istituzioni. Non c'è da parte del centrosinistra un atteggiamento ottuso ad aprirsi al confronto ma, ripeto, a due condizioni molto precise. Il riconoscimento che noi abbiamo vinto le elezioni e quindi abbiamo legittimità a governare e la distinzione dei ruoli fra chi governa e chi sta all'opposizione". Una volta risolto il rebus del Quirinale, tocca alla Rai. Cosa ne farete della Rai berlusconizzata? "Noi abbiamo sofferto molto una Rai berlusconiana e non vogliamo fare una Rai prodiana. Vogliamo una Rai che prima di tutto sia autonoma dal sistema politico, che valorizzi le competenze, che garantisca un vero servizio pubblico televisivo, che sia capace di parlare a tutto il paese".


Tratto da www.repubblica.it

Ma il premier insiste sul decreto oppure Gianni Letta al Quirinale


Il paese è spaccato a metà. Se Prodi ritiene di poter governare, a noi dovrebbero spettare gli organismi di controllo. A cominciare dal Quirinale". Il riconteggio delle schede contestate e i riflettori puntati su quelle nulle non sono solo il tentativo di invertire il risultato elettorale. Per Berlusconi sono un'arma. Da imbracciare in vista delle prossime scadenze istituzionali. Da caricare quando il Parlamento sarà chiamato a eleggere il nuovo capo dello Stato.

E già, perché le speranze sui calcoli degli uffici centrali sono poche anche per il Cavaliere. Lo sa anche lui e nei tanti colloqui avuto ieri con i coordinatori e i ministri del suo partito non lo ha nascosto. Anche per questo ha rinviato la sua partecipazione a Matrix, la trasmissione di Mentana, prevista per oggi. Il suo cruccio, semmai, sono gli equilibri istituzionali prossimi venturi. Assetti da cui dipenderanno molte delle scelte anche nel campo aziendale, ossia delle sue imprese.

Vuole "garanzie", esattamente come accadde nel '96. E dopo dieci anni usa il voto contestato per tentare di imporre lo stesso schema. E allora: "I dubbi su questi risultati ci sono, si possono dissipare in modo molto semplice. Con un controllo vero, su tutte le schede. Quelle contestate e quelle annullate". Nell'ennesima cena a Via del Plebiscito con il suo staff, il presidente del consiglio è partito da questa premessa. Per arrivare ad una conseguenza: il decreto legge.

Secondo i tecnici di Palazzo Chigi, infatti, sarebbe possibile un decreto per modificare la legge elettorale e "ricontare" le schede su vasta scala. "Il premio di maggioranza - spiegano a Forza Italia - impone una clausola di garanzia, non è possibile che il governo e il capo dello Stato vengano determinati dagli errori". Non a caso fino a ieri sera, l'ultima speranza del premier e anche del leader di An, Gianfranco Fini, era di poter ridurre il distacco alla Camera sotto i 10 mila voti per poi tornare alla carica sul decreto. Chiedere al Colle di riesaminare il problema.

Berlusconi, però, conosce già la risposta del centrosinistra e del Quirinale. Tant'è che la subordinata sta diventando rapidamente l'opzione principale. "Se Ciampi e la sinistra non accettano questa soluzione, non resta che trovare un equilibrio ai vertici dello Stato. Ci diano gli organismi di controllo. E, insomma, niente decreto niente Ciampi bis. Noi rappresentiamo la metà degli italiani, questo vorrà pur dire qualcosa nella scelta del presidente della Repubblica?".

Tant'è che ieri, davanti ai fedelissimi, qualche nome a mo' d'esempio l'ha fatto: Gianni Letta e Beppe Pisanu. Anche se il secondo ha perso terreno sia per le incomprensioni con lo stesso Berlusconi, sia per i contatti avuti sullo stesso punto con alcuni esponenti dell'Unione. Certo, per Berlusconi questo sembra soprattutto l'avvio di una trattativa più che il punto di caduta. Tant'è che nel negoziato potrebbero entrare la presidenza del Senato (aprendo per il Quirinale a soluzione alternative, come Amato o D'Alema), qualche commissione di controllo e magari il cda della Rai. "Così ci sarà la vera pacificazione". L'obiettivo, insomma, è non uscire dal circuito decisionale.

Sapendo che il futuro imprenditoriale in buona parte dipende da quanto saprà condizionare gli assetti politici della nuova legislatura. La sua Mediaset è attesa da scadenze importanti, così come i tanti soldi incassati circa un anno fa dalla cessione di una parte della stessa azienda dovranno essere presto reinvestiti.
Per strappare un cenno di disponibilità, il Cavaliere mette sul tavolo il regolamento del Senato. Che tutela l'opposizione con molta più forza rispetto alla Camera.

"Se non accetteranno - è quindi la sua conclusione - non solo rimarrà una macchia su questa legislatura e io lo ricorderò ad ogni piè sospinto, ma a Palazzo Madama ci metteremo l'elmetto e non faremo passare neanche una legge. Con quei numeri, senza di noi non passa niente. Voglio vedere il dpef. Voglio vedere la finanziaria. Voglio vedere i pacs".

Per il momento Romano Prodi ha risposto con un secco no a tutte le avances berlusconiane, mentre nei Ds un sottile filo di dialogo qualcuno lo ha attivato. Ma il vero ostacolo per il premier è un altro: gli alleati. Se Fini è schierato al fianco del leader di Forza Italia, l'Udc e la Lega non ne vogliono sentire parlare. "Quando i risultati saranno definitivi e l'esito non sarà cambiato, dopo po' anche Silvio si dovrà calmare", dicono a Via Due Macelli. Anche perché per i centristi, a questo punto la terra promessa si chiama "centrodestra deberlusconizzato". E solo con la sconfitta elettorale "certificata" si può raggiungere. Solo in quel modo potrà scattare per Casini la corsa alla leadership della Cdl. Sapendo che la paralisi di Palazzo Madama è praticabile solo se l'opposizione è compatta. Ma prima bisognerà aspettare che la Cassazione ufficializzi i risultati.

da repubblica.it

14.4.06

D'ALEMA: BERLUSCONI FERMI LA STRATEGIA DELLA TENSIONE

"Il fatto che l'opposizione possa avere, cosa del tutto anomala, la presidenza di una delle due Camere non è la premessa di una comune assunzione di responsabilità, ma la conseguenza. E questo può accadere in un clima politico in cui ci sia l'impegno comune a garantire il funzionamento delle istituzioni e il diritto a governare di chi ha la maggioranza". Lo afferma il presidente Ds Massimo D'Alema in un'intervista al Corriere della Sera in cui invita Silvio Berlusconi ad abbassare i toni e a "fermarsi nella sua strategia della tensione".

In quel caso, dice D'Alema, è possibile un dialogo per il Quirinale. "Dovrebbe esserci un mutamento di scenario per poter aprire una discussione di questo tipo. Altrimenti - ribadisce D'Alema - non è credibile e non è possibile. Non possiamo ridurre la politica ad un mercato delle poltrone". E se lo scenario mutasse, "a quel punto potrebbe essere aperto un dialogo. Ma - rileva - non credo ai colpi di scena".

In ogni caso, il primo banco di prova per un dialogo sarà la scelta per il Quirinale. Una scelta su cui, per D'Alema, "il centrosinistra deve ricercare il confronto più aperto, cercare il massimo di convergenza possibile come avvenne nel 1999. Quando noi diciamo metodo Ciampi ci riferiamo ad una cosa concreta".

Infine, un progetto: "Vanno fatti subito i gruppi unici dell'Ulivo sia alla Camera sia al Senato. E dopo l'autunno va avviata la fase congressuale dei Ds per avere il mandato alla costituzione del partito democratico. Che non è - sostiene - una somma di burocrazie ma un processo aperto alla società civile e alla cultura". "Porte aperte - spiega ancora - a tutta l'area socialista, che fu parte fondativa di questo progetto. Mi pare che la Rosa nel Pugno fosse solo un cartello elettorale".

STORACE: L'UNIONE SE PUO' GOVERNI, NIENTE SCONTI
"Al Senato hanno preso meno voti di noi ed è davvero arrogante la pretesa di D'Alema che inventa il metodo delle assenze contemporanee per maggioranza e opposizione. Se sono capaci governino ma non si aspettino sconti": così Francesco Storace. "Mischiare Quirinale e pratica parlamentare ordinaria è quanto di più scorretto si possa immaginare", conclude l'esponente di An. (ANSA)

«Il premier fermi la strategia della tensione»

Mercoledì pomeriggio aveva detto al cronista: «Né guerre di religione né inciuci. È essenziale che ci siano il dialogo e una comune assunzione di responsabilità. Non stiamo ballando il valzer ma parliamo dei destini dell’Italia. Ci misureremo. Se questo discorso è serio lo vedremo nei mesi che verranno. Siamo tutti chiamati alla prova dei fatti». Poi, in serata, la nuova offensiva di Silvio Berlusconi contro la regolarità del voto. E così Massimo D’Alema, 57 anni, presidente dei Ds, ha preferito fermare l’intervista nella quale rispondeva no alla grande coalizione proposta dal premier ma invitava al confronto per la scelta del presidente della Repubblica. Ha voluto aspettare, riflettere. È preoccupatoma non demorde sulla necessità del dialogo. Ed esordisce con una sorta di appello. «Voglio invitare il presidente del Consiglio ad abbassare i toni e a fermarsi in questa che appare come una vera e propria strategia della tensione, una delegittimazione della vittoria elettorale che inasprisce lo scontro. Noi abbiamo piena fiducia nei confronti dei magistrati delle corti di appello che hanno sempre fatto con scrupolo le verifiche che ora si presentano più semplici che nel passato perché il numero delle schede contestate è assai più basso di quanto sia mai avvenuto».
Ritiene che in questo accenno di Berlusconi ai magistrati ci sia un nuovo terreno di polemica? Come dire: a controllare i voti ci sono le toghe rosse.
«Trovo che alternare l’accusa di brogli, gravissima e priva di qualsiasi riscontro, all’offerta di grande coalizione denoti una enorme confusione e renda più preoccupante questo finale di partita ».
Confusione? Non pensa che sia una strategia?
«No, sarebbe una strategia folle e non credo che Berlusconi sia folle. Certo, si può capire la rabbia di uno che ha visto svanire la vittoria per pochi voti. Dovrebbe riflettere sull’assurdità e pericolosità di questa legge elettorale. Si tratta di un finto proporzionale che in realtà è il più brutale dei sistemimaggioritari. Le elezioni sono state trasformate in un plebiscito mediatico».
Ma proprio questa legge vi ha fatto vincere.
«Non è vero, si tratta di una sciocchezza. Nessuno è in grado di prevedere quali sarebbero stati gli esiti con l’uninominale maggioritario nei collegi ».
Voi mettete la mano sul fuoco che il risultato del voto è corretto?
«Lo dicono il capo dello Stato e ilministro degli Interni. Non c’è riscontro di brogli. Parliamo dell’Italia, un Paese democratico, non della Bielorussia».
Questa ombra del sospetto evocata da Berlusconi condizionerà tutta la legislatura?
«Sarebbe totalmente irresponsabile. Spero che una volta che i risultati siano stati proclamati dagli organi istituzionali, Berlusconi telefonerà a Prodi riconoscendo la sconfitta».
Pensa che la totale chiusura sulla proposta di una grande coalizione alimenti quest’acuirsi della contrapposizione?
«Questo è un sospetto etico su Berlusconi al quale mi rifiuto di aderire. Fare questa ipotesi equivarrebbe a considerarlo un ricattatore».
Ma una larga intesa è proprio impossibile?
«Abbiamo avuto uno scontro programmatico radicale e un’intesa ora sarebbe incomprensibile da parte dei cittadini. Aumenterebbero la sfiducia, il qualunquismo e il discredito verso la politica. Non può esserci un colpo di scena, un coniglio estratto dal cilindro».
L’offerta della presidenza di uno dei due rami del Parlamento non aiuterebbe il processo di riconciliazione?
«Il fatto che l’opposizione possa avere, cosa del tutto anomala, la presidenza di una delle due Camere non è la premessa di una comune assunzione di responsabilità ma la conseguenza. E questo può accadere in un clima politico in cui ci sia l’impegno comune a garantire il funzionamento delle istituzioni e il diritto a governare di chi ha la maggioranza. Dovrebbe esserci un mutamento di scenario per poter aprire una discussione di questo tipo. Altrimenti non è credibile e non è possibile. Non possiamo ridurre la politica ad un mercato delle poltrone».
Ma se ci fosse il mutamento di scenario? Se Berlusconi abbassa i toni e riconosce la vostra vittoria?
«Penso che a quel punto potrebbe essere aperto un dialogo. Ma non credo ai colpi di scena».
Non potreste fare voi il primo passo, magari offrendo la presidenza del Senato a personalità come Giuseppe Pisanu o Marco Follini?
«Ma questo è roba da angiporto! Non siamo ai mercati generali. Lasciamo stare, se no i cittadini ci corrono dietro. Dobbiamo costruire una normalità democratica, e cioè il bipolarismo tra due coalizioni che si rispettano, che non si demonizzano e che si riconoscono in un quadro di regole condivise. Non si risolve adesso, in quindici giorni, con una telefonata a Pisanu o a Follini. Abbiamo di fronte scogli enormi. A giugno, per esempio, c’è il referendum sulla nuova Costituzione. Io spero che venga cancellato questo aborto. Ma il centrodestra che fa? Difende la Costituzione di Calderoli o favorisce il ritorno a quella di Calamandrei?».
Prima c’è l’elezione del capo dello Stato.
«Qui dobbiamo cercare il massimo di convergenza possibile. Nel ’99 avevamo la maggioranza in Parlamento. E forse, dal punto di vista degli equilibri del governo di allora, sarebbe stato conveniente affrontare diversamente il tema dell’elezione del capo dello Stato. Ma io, che ero presidente del Consiglio, andai al dialogo con Berlusconi perché ci fosse una convergenza sul nome di Carlo Azeglio Ciampi. Credo di aver fatto il bene del Paese. E penso persino che se in questi anni Berlusconi ha potuto governare senza avere un conflitto drammatico con la presidenza della Repubblica lo deve a questa scelta».
E allora l’elezione del presidente della Repubblica può essere il fonte battesimale di un nuovo dialogo?
«Il centrosinistra deve ricercare il confronto più aperto. Quando noi diciamo metodo Ciampi ci riferiamo ad una cosa concreta».
Un modo per pacificare?
«Negli anni Cinquanta il Paese era aspramente diviso ma le classi dirigenti avevano un fortissimo senso della comune responsabilità. Accadeva che nelle piazze c’erano scontri sanguinosi ma Mario Scelba e Pietro Secchia si telefonavano per evitare che si precipitasse in una guerra civile. Oggi è il contrario. Il clima da guerra civile non è nel Paese ma nella classe politica»
Non ci sono le due Italie?
«Ce ne sono molte di più. La divisione attraversa i campi sociali e investe la sensibilità civile e culturale. Quanti milioni di elettori non leggono i giornali? Tra questi mondi c’è una forte differenza. Penso ad una similitudine con gli Stati Uniti dove si aveva la percezione che i democratici fossero i vincitori assoluti. Poi è venuta fuori un’America profonda che invece ha votato Bush. In Italia Berlusconi ha saputo evocare questa paura della sinistra agitando un pericolo per i ceti medi e per i valori tradizionali. È stato un grande combattente, bisogna dargli atto. Noi abbiamo sottovalutato questa offensiva e non ci siamo impegnati abbastanza per contrastarla. Sulla questione fiscale siamo apparsi incerti, abbiamo alimentato i dubbi. Ci volevano maggiore tempestività e chiarezza. Ora il governo deve lanciare dei segnali di rassicurazione. Le paure sono largamente immotivate. Non intendiamo né scardinare la famiglia né aumentare le tasse né scontrarci con la Chiesa».
Ma è già partito il fuoco di fila contro il dialogo con il premier uscente. Micromega titola: mai più Berlusconi, mai più inciucio. Riprende la demonizzazione?
«Mi hanno accusato per cinque anni di aver barattato la legge sul conflitto di interessi per la bicamerale. È gente che non ha nemmeno sfogliato gli atti parlamentari. Opposti estremismi, Berlusconi da una parte, loro dall’altra. Sono campagne prive di verità, basate sul sospetto. Forme di linciaggio. Se tu hai un’opinione diversa sei un traditore, ti sei venduto l’anima. È il peggio della tradizione comunista degli anni Trenta. Io sono un uomo di sinistra ragionevole che cerca di impegnarsi per il bene del Paese».
D’Alema presidente della Camera o ministro degli Esteri?
«O anche D’Alema nulla. Non sono uno che cerca incarichi o fa i capricci per averli. Bisogna capire quel che è più utile in una coalizione complessa come la nostra».
Sarebbe quindi pronto a fare un passo indietro per lasciare la presidenza della Camera a Fausto Bertinotti?
«Non ho mai fatto un passo avanti».
Ma ritiene che il segretario di Rifondazione sarebbe un buon presidente?
«È un’ottima persona, garante dei diritti di tutti».
I Ds hanno comunque avuto un risultato deludente.
«In questi anni abbiamo dedicato il nostro impegno a costruire l’Ulivo. Con Fassino ci siamo candidati sotto quel simbolo. Io concludevo i comizi dicendo: alla Camera votate la lista unitaria, al Senato i Ds o la Margherita. È questa la nostra prospettiva strategica che è stata premiata dagli elettori e soprattutto dai giovani. C’è una generazione nuova, la generazione dell’Ulivo, sulla quale l’appello dell’anticomunismo e dei fantasmi del passato non funziona. Dirò di più. Permolto tempo ci siamo attardati a dibattere sul rischio che l’Ulivo avrebbe comportato un rafforzamento della sinistra radicale. Così non è stato. Oggi noi abbiamo il dovere di aprire il cantiere del partito democratico».
Intende dire che Ds è un involucro che state già abbandonando?
«Intendo dire, anche se la mia è solo una proposta, che vanno fatti subito i gruppi unici sia alla Camera sia al Senato. E dopo l’autunno va avviata la fase congressuale dei Ds per avere il mandato alla costituzione del partito democratico. Che non è una somma di burocrazie ma un processo aperto alla società civile e alla cultura».
Porte aperte anche alla Rosa nel Pugno?
«Aperte a tutta l’area socialista, che fu parte fondativa di questo progetto. Mi pare che la Rosa nel Pugno fosse solo un cartello elettorale».
È vero che lei vorrebbe Piero Fassino al governo mettendo Pierluigi Bersani al suo posto?
«Sono falsità. Io non posso volere niente perché è il congresso che elegge il segretario, non lo nomina D’Alema. Fassino ha svolto e svolge con passione e sacrificio un compito prezioso. Deve essere lui innanzitutto a dire quello che vuole fare. Tutti noi dobbiamo porci il problema di come disporre le nostre forze di fronte alla fase costituente del partito democratico e alla necessità di favorire un ricambio generazionale. Vorrei uscire dal pettegolezzo del complotto».
Ma mentre fate tutto questo, la talpa della grande coalizione può continuare a scavare. Non rischiate cioè di vivere ogni giorno con l’incubo che un senatore vi faccia mancare la maggioranza perché sta a casa con il mal di pancia?
«Noi dobbiamo muoverci su tre grandi direttrici. Costruire l’Ulivo, governare per rimettere in moto tutto il Paese, ricercare il dialogo con l’opposizione per garantire il funzionamento delle istituzioni. Nelle grandi democrazie europee quando un governo ha un voto di scarto, se un deputato della maggioranza si sente male l’opposizione ne fa uscire uno dei suoi. Così funziona la democrazia. La talpa può scavare ma è cieca e rischia di fare danni. Bisogna sapere che se c’è uno scontro frontale che punta a paralizzare le istituzioni, allora non c’è la grande coalizione ma ci sono nuove elezioni».

da www.corriere.it

Schede ripescate : la situazione in Puglia


Il lavoro di registrazione dei voti validi da parte degli uffici centrali circoscrizionali della Camera e del Senato terminerà sabato 15: tra il 18 e il 19 è previsto il conteggio e la comunicazione ufficiale dei voti. Fino ad oggi pomeriggio i due uffici presso la corte d'appello di Bari hanno esaminato la metà dei verbali delle 3.947 sezioni pugliesi. Delle schede contestate per la Camera ne sono state ripescate 150-200 che sono state attribuite ai due poli con un leggero vantaggio per il centrodestra.

da www.corriere.it

12.4.06

rodi: "Governo entro maggio, non temo ribaltamento dei risultati elettorali"


Quando si farà il nuovo governo? "Il più presto possibile", ha detto il leader dell'Unione, Romano Prodi, rispondendo alle domande dei giornalisti stranieri in un incontro alla Stampa estera. Prodi ha poi spiegato che il calendario istituzionale, così come è stato illustrato stamani dal presidente Ciampi, è molto preciso e quindi il governo arriverà "nella prima o nella seconda metà di maggio".

Prodi_Quirinale

"Il presidente Ciampi nell'incontro di questa mattina - ha spiegato Prodi - mi ha esposto gli aspetti giuridici sui tempi per la formazione del governo, partendo dal completamento degli organismi parlamentari". Secondo Prodi prima dell'elezione del nuovo capo dello Stato "i tempi sono stretti" e quindi l'incarico al nuovo governo "ci sarà subito dopo, nella prima o nella seconda parte di maggio, a seconda di quello che i presidenti delle Camere potranno garantire. Ma, comunque, si tratta di dieci giorni di differenza".

Accordo con l'opposizione su riforme
"Su due temi, io sostengo, come avevo fatto proprio davanti a voi, la necessità di cercare un accordo con l'opposizione: sulle riforme costituzionali e sulla riforma della legge elettorale". Così il leader dell'Unione Romano Prodi ha ribadito il no alla grande coalizione proposta dal premier Berlusconi.

"La coalizione di governo - ha affermato Prodi - c'è già. La grande coalizione non solo è estranea al programma dell'Unione ma si fa quando non c'è la maggioranza". "Perché - ha chiesto il Professore - Nixon o Schroeder nel 2002 avrebbero dovuto fare una grande coalizione quando la maggioranza c'era? Queste sono le regole della democrazia". "Altro è dire - ha concluso Prodi - che noi governeremo per tutti gli italiani, anche per chi non ci ha votato".

"Non ho nessun timore di un ribaltamento dei dati, è una vittoria assolutamente tranquilla", ha aggiunto Prodi.

Governo con forte impronta del primo ministro
"Mi gioverò delle prerogative che la costituzione dà al candidato Presidente del Consiglio designato, di avere un governo che tenga conto della composizione politica della maggioranza ma abbia una forte impronta del primo ministro", ha detto. "Non faccio nomi di ministri - ha aggiunto Prodi - perché debbo ancora cominciare le riflessioni". E a una domanda su chi sarà il ministro della Cultura, il Professore ha ricordato: "Io avevo nominato ministro della Cultura il vicepresidente del Consiglio per dare un segnale forte e anche ora ho la ferma intenzione di riportare la cultura a un livello elevato".

Non aumenteremo le tasse
"Non aumenteremo il peso fiscale", assicura il leader dell'Unione. Rispondendo a una domanda che chiedeva conferme sull'intenzione di armonizzare le rendite finanziarie, Prodi ha risposto: "Nel programma non ci sarà nessun cambiamento, l'ho fatto nell'ipotesi di vincere e non di perdere. Poco prima il Professore, in apertura della conferenza stampa, aveva difeso le sue enunciazioni programmatiche fatte in campagna elettorale. "Non ho fatto promesse eccessive", ha sottolineato Prodi cregistrando anche il fatto che, nonostante le denunce del centrodestra, non c'è stata una fuga dei capitali all'estero. "Non c'è mai stato un fuoco mediatico come questo che si è verificato nella campagna elettorale italiana", ha sottolineato il Professore.

(RAI News 24)

FITTO: GRAZIE PUGLIA




Il grande risultato ottenuto da Forza Italia in Puglia e in Italia è la prova che l’organizzazione del partito sul territorio e il contatto diretto con i cittadini sono le carte vincenti. E’ la prova della grande capacità politica del Presidente Berlusconi che si è impegnato direttamente in questa campagna elettorale riuscendo ancora una volta a dimostrare che gli italiani si riconoscono il lui e nel progetto politico di Forza Italia. Un risultato che ha visto la Casa delle Libertà vincere in Puglia, ha visto Forza Italia essere il primo partito in tutte le province e Forza Italia della Puglia essere la prima in Italia insieme a Sicilia e Lombardia, con più del 27 per centro dei consensi. Un risultato che fino ad un anno fa sembrava impossibile, nel quale all’inizio credevamo in pochi e del quale devo ringraziare tutti coloro che hanno lavorato con noi riuscendo a dare nuovo impulso all’attività del nostro partito. Il merito di questo risultato è di tutti, dal Presidente Berlusconi al coordinatore del più piccolo comune della Puglia. Abbiamo Con l’impegno diretto del Presidente Berlusconi sul territorio nazionale, con l’apertura di sezioni in tutte le città, con le Operazioni Verità, con la puntuale azione di opposizione e di denuncia negli Enti Locali governati dalla sinistra, abbiamo riconquistato la fiducia degli elettori. Dopo un anno di Governo alla Regione e quasi due in molti Comuni e Province, la sinistra non si è rivelata più credibile agli occhi dei cittadini pugliesi. E anche il risultato nazionale dimostra che l’Italia è di fatto spaccata in due. Nel ringraziare tutti i pugliesi che hanno dimostrato di credere ancora una volta nel nostro progetto politico, ci sentiamo di garantire che il nostro impegno si manterrà costante a livello nazionale e sul territorio, dove stiamo già lavorando per le elezioni amministrative di maggio.

Tratto da www.fittopresidente.it


ANALISI SU DATI DEFINITIVI MINISTERO DELL’INTERNO CAMERA

- Su base nazionale: Forza Italia della Puglia con il 27,2% è la seconda Forza Italia d’Italia, superata solo dal 29,1% della Sicilia. Prendiamo 12 seggi

- Su base provinciale: Forza Italia della Bat con il 32% è la seconda Forza Italia d’Italia battuta solo dal 34% della provincia di Imperia
- Province: la Cdl vince in tutte le province pugliesi tranne Foggia (dove perde del 2,1%) ma Forza Italia a Foggia come nelle altre province pugliesi è il primo partito.
Bari: FI 28,9% (CDL 52,8; UNIONE 46,9)
Bat: FI 32% (CDL 53,6; UNIONE 46)
Brindisi: FI 26% (CDL 51,3; UNIONE 48,4)
Foggia: FI 24,3% (CDL 48,8; UNIONE 50,9)
Lecce: FI 25% (CDL 51; UNIONE 48,8)
Taranto: FI 27,8% (CDL 51; UNIONE 48,7)


SENATO
- Su base nazionale: Forza Italia della Puglia con il 27,1% è la quarta Forza Italia d’Italia, superata solo da Molise (33%); Trentino (30,5%); Sicilia (28,5%). Prendiamo 7 seggi

- Su base provinciale: Forza Italia della Bat con il 32,3% è la quarta Forza Italia d’Italia superata dalle province di Isernia (37,8%); Imperia (34,6%); Latina (33,2%)

- Province: la Cdl vince in tutte le province pugliesi tranne Foggia (dove perde dell’1,7%) ma Anche al Senato Forza Italia resta il primo partito a Foggia.

Bari: FI 28,6 (CDL 53,3; UNIONE 46,4)
Bat: FI 32,2 (CDL 53,9; UNIONE 45,7)
Brindisi: FI 25,6 (CDL 51,6; UNIONE 48)
Foggia: FI 24,2 (CDL 49; UNIONE 50,7)
Lecce: FI 24,8 (CDL 51; UNIONE 48,6)
Taranto: FI 27,9 (CDL 51,7 UNIONE 48)


Prodi a le Monde: via dall' Iraq ci torniamo con un contingente civile


''Ritireremo le nostre truppe dall' Iraq in accordo innanzitutto con il governo di Bagdhad ed invieremo un contingente civile per aiutare la ricostruzione delle infrastrutture e delle istituzioni irachene''. Lo ha detto Romano Prodi in un articolo per 'Le Monde', nel quale osserva che ''l' intervento in Iraq era ingiusto ed ingiustificato''.(ANSA)


Roma, schede elettorali per strada


Oltre duecento schede elettorali già votate e valide. Dentro dieci scatoloni lasciati per strada, vicino ai bidoni della spazzatura. Il ritrovamento è avvenuto a Roma, in via Marco Decumio, nel quartiere Tuscolano. A pochi passi dalla scuola Damiano Chiesa, che è stata sede elettorale. Ad avvisare il 113 sarebbe stata una signora che questa mattina, mentre gettava l'immondizia, ha visto gli scatoloni lasciati sul marciapiede. Polizia e carabinieri sono subito intervenuti per effettuare i controlli.

RITROVAMENTO - Le forze dell'ordine stanno cercando di verificare come mai le schede siano finite sul marciapiede, accanto ad alcuni cassonetti per i rifiuti. Secondo una prima ipotesi gli scatoloni sarebbero stati buttati dall'impresa che si occupa delle pulizie, senza verificarne il contenuto. La Procura della Repubblica di Roma ha disposto indagini per valutare se sia un episodio isolato o meno. Il presidente del seggio sarà ascoltato nelle prossime ore.

IL PRECEDENTE - Nella stessa scuola (che ha ospitato le sezioni dalla numero 952 alla numero 961: vedi i risultati sul sito del Comune di Roma) sarebbe avvenuto un caso simile, nel 2001. Lo racconta il capogruppo dei Ds del Municipio 10 Alfredo Capuano: «In occasione delle elezioni politiche successe la stessa cosa. Furono ritrovati fuori dalla scuola alcuni scatoloni contenenti schede già votate. Per quanto riguarda il rinvenimento delle schede oggi - precisa - a un primo controllo risulta che anche se le schede non sono state consegnate, i verbali sono arrivati correttamente a destinazione. In parole più semplici, i voti di quella sezione sono pervenuti, ma le schede no. Dai controlli risulta anche che le schede ritrovate recano i voti di tutti gli schieramenti».

«FARE CHIAREZZA» - «Credo che il Sindaco di Roma farebbe bene a spiegarci in poche ore come sia possibile giustificare quanto pare sia accaduto con le schede del seggio di via Marco Decumio» ha dichiarato il vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio, Andrea Augello. «Non mi pare comprensibile e accettabile che nessuno si sia accorto, in Campidoglio, della scomparsa di cinque scatoloni di schede votate e che i cittadini, che in quei contenitori avevano riposto le loro decisioni per il futuro del Paese, debbano apprendere oggi che il tutto è andato a finire nella spazzatura. Bisogna fare chiarezza».

Tratto da www.corriere.it

L'Unione a Berlusconi: "No grazie abbiamo vinto e governeremo "


No grazie, non ci sono le condizioni politiche, chi ha la maggioranza governa. L'Unione rispedisce al mittente la proposta di Silvio Berlusconi: una Grande Coalizione sul modello tedesco per governare l'Italia nel segno dell'unità tra forze politiche divise dagli esigui margini usciti dalle urne. La risposta è no, Romano Prodi serra le file dell'Unione e soprattutto respinge il ragionamento che sta alla base della proposta del premier: che nessuno ha vinto, che i voti alla Camera vanno ricontati e che potrebbe anche venir fuori che il vero vincitore potrebbe essere la Cdl. "Ci siamo presentati alle elezioni con una coalizione precisa e la legge elettorale ha assegnato un numero di parlamentari alla Camera e al Senato che ci permette di governare", dice Prodi definendo "fuori posto" le recriminazioni sul voto di Berlusconi. "Noi governeremo in questo modo come stabilito dalla legge e come era l'impegno con i nostri elettori. In più, come ho detto, governerò per tutti gli italiani e non solo per quelli che ci hanno votato". Dello stesso avviso gli altri leader dell'Unione da Rutelli a Fassino a D'Alema che sottolinea che non ci sono i presupposti politici per parlare di un governo di unità nazionale. Ma intanto Berlusconi ha lanciato l'esca nel campo avversario indorando la pillola con un dettaglio non da poco, quel suo accenno a essere disposto a fare un passo indietro per il bene del Paese.
L'Unione sembra però decisa a voler governare, ma si troverà subito alle prese con la sua maggioranza risicata al Senato. A maggio, elezioni dei presidenti delle Camere e del presidente della Repubblica, amministrative e referendum costituzionale. Tutti impegni istituzionali che metteranno alla prova la tenuta della maggioranza e la capacità di resistere ai richiami berlusconiani. Non a caso nell'Unione è affiorata l'ipotesi di concedere alla Cdl la presidenza di uno dei rami del Parlamento (anche se prima Prodi poi Rutelli in serata hanno bocciato l'idea) proprio nell'intento di svelenire il clima e ricucire i rapporti tra i poli. Al momento Prodi pensa innanzitutto all'unità della sua coalizione e ad accelerare il cammino del partito democratico, la sua creatura capace per la prima volta di raccogliere più voti delle liste proponenti.

Tratto da www.repubblica.it